Ieri Il Riformista ha squadernato un indicibile segreto. Confermato da tre fonti diverse – tutti e tre addetti ai lavori e testimoni dei fatti – rimasto privo di smentite. Abbiamo appurato di come il Sisde guidò una operazione di infiltrazione molto particolare: l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, intraprese tra il 2003 e il 2006 una fitta corrispondenza sotto copertura con Matteo Messina Denaro, promettendogli una rete di attività per riciclare denaro e reinvestirlo con grandi operazioni finanziarie. Promesse che fecero gola al boss.

A tal punto da farlo cadere nella trappola orchestrata e ricavarne una miniera di informazioni. Una operazione guidata dal Sisde, e in particolare dal generale dell’Arma, Mario Mori – che nel 1990 aveva dato vita al Ros dei Carabinieri – e dal colonnello Giuseppe De Donno, del cui successo è sugello il pizzino trovato in casa di Bernardo Provenzano dopo l’arresto del 2006. In quel documento straordinario Messina Denaro confidava a Provenzano di essere entrato in contatto con una persona di cui fidarsi, a cui dare accesso ai forzieri del tesoro nascosto di Cosa Nostra. E Provenzano, indotto dall’infallibile intuito della “Primula rossa”, acconsente a dargli accesso.

Fatti non di poco conto: gli investigatori stanno per fare bingo. Ma ecco che arriva lo scontro tra poteri, sul quale duellano giurisdizioni, procure, forze dell’ordine. Quando la polizia intercetta uno dei messaggi e assume che Vaccarino stia agendo su mandato di Messina Denaro, fa per arrestare il professore di Castelvetrano. Arresto che, bruciando Vaccarino, segnerebbe la fine dell’operazione: Mori per scongiurare questa ipotesi vola ad incontrare il capo della Polizia, il prefetto De Gennaro, e gli illustra i dettagli dell’operazione, lasciando incredulo l’interlocutore. Davvero i Carabinieri hanno messo in pista un infiltrato capace di arrivare al cuore del potere del latitante più ricercato? «Eravamo entrati nella cabina di regia di Cosa Nostra, stavamo per avere accesso ai conti, ai flussi di cassa, alle riserve nascoste», rivela al Riformista l’ex agente del Sisde. De Gennaro mette al corrente la Procura di Palermo, di cui è reggente il dottor Giuseppe Pignatone, che insieme con l’aggiunto Scarpinato, va su tutte le furie.

A questo punto dobbiamo fare un passo indietro: Mori ha assunto sin dall’inizio degli anni Novanta la guida del “I reparto” del Ros, quello con competenza sulla criminalità organizzata. L’esperienza maturata nei quattro anni che aveva già trascorso a Palermo si rivela fondamentale e le indagini proseguono con nuovo impulso, sempre orientate, come indirizzo strategico, verso il settore economico-imprenditoriale. Ne deriva così anche un’articolata informativa che, curata dall’allora capitano Giuseppe De Donno, viene consegnata, il 20 febbraio del 1992, alla procura di Palermo. La specifica indagine, divenuta nota come “Mafia e appalti”, viene sostenuta sin dall’inizio da Giovanni Falcone e, dopo la sua morte, da Paolo Borsellino che la considera non solo un salto di qualità nella lotta a “Cosa nostra”, ma anche e soprattutto la causa scatenante della strage di Capaci.

Dopo la morte di Borsellino, il filone non godrà più della stessa attenzione. E quando i Ros di Mori il 15 gennaio 1993 arrestano Totò Riina, il trattamento che la Procura riserva loro non è proprio da eroi. Mori e De Caprio verranno processati con l’accusa di favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra, non per la mancata perquisizione dell’abitazione di Riina dopo il suo l’arresto, come i più ritengono, ma per avere omesso di informare la Procura di Palermo che il servizio di osservazione alla casa era stato sospeso. Il dibattimento si concluderà con l’assoluzione sancita dal Tribunale di Palermo perché “il fatto non costituisce reato”, con sentenza del 20 febbraio 2006, non appellata dalla Procura della Repubblica di Palermo. Ecco che la storia forma un intreccio di accordi e disaccordi, informazioni date e saltate, comunicazioni interrotte, autorizzazioni equivoche. A Mori verranno mosse altre guerre, tra cui l’ultima: il 24 luglio 2012 il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Antonino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, in riferimento all’indagine sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, firmano la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Mario Mori e di altri undici indagati.

L’esito è un altro punto a favore del generale: assolto in fase di Appello il 22 luglio 2019. Peccato che l’operazione più coraggiosa tra quelle seguite da Mori, quella con il professor Vaccarino, si sia conclusa con così poca riconoscenza per il suo protagonista. Che aveva messo in fila tanti elementi utili, preziosi, a rileggerli oggi. Tanto che lo strascico degli arresti dovuti alle rivelazioni di quei suoi pizzini contraccambiati si protrarrà fino al 2019. La figura di Tumbarello torna più volte nella costruzione della rete ordita da Vaccarino per avvicinare Messina Denaro, forse quando la Procura riceve gli atti di indagine commette un errore di involontaria sottovalutazione. Non sappiamo. Quel che sappiamo è che Alfonso Tumbarello nell’operazione di Vaccarino è centrale; viene prescelto da Vaccarino, che pure aveva il contatto diretto di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss. Decide di far transitare tutto per le mani di Tumbarello.

Perché? «Perché lo ritiene di spessore mafioso importante, è evidente. Tumbarello è il miglior garante per arrivare alla Primula rossa», è la deduzione che fa il direttore de La Valle dei Templi, Gian Joseph Morici. «Non avrebbe avuto bisogno di lui, invece gli sottopone tutti i messaggi, chiedendo di instradarli verso il più ricercato dei latitanti per canali riservatissimi a cui Tumbarello aveva accesso». Nella dinamica di Cosa Nostra, è il rispetto di un iter procedurale. Il riconoscimento di un ruolo gerarchico. Elementi, questi, che vennero messi nero su bianco davanti a Pignatone e a Scarpinato. «Però, chissà perché, la Procura di Palermo ha deciso di focalizzare l’attenzione sulle logge massoniche».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.