Nel Si&No del Riformista spazio alle dimissioni da commissario tecnico della Nazionale da parte di Roberto Mancini. Ha fatto bene? Favorevole il direttore Andrea Ruggieri secondo cui “da tempo non si sentiva sostenuto, ora è di nuovo (legittimamente) sul mercato“. Contrario invece Alberto Gafurri. “Che delusione, adesso siamo senza una guida” il commento.

Qui l’articolo di Andrea Ruggieri:

Roberto Mancini lascia la Nazionale e torna sul mercato. Difenderne la scelta appare quasi impossibile, eppure ci devono essere una serie di ragioni solide per averlo portato a un passo che, da uomo intelligente quel egli indubbiamente è, doveva per forza sapere non sarebbe stata né presentata, né tanto meno percepita come popolare o condivisibile.
Ma… Perché uno del genere decide di andarsene e lasciare la guida di una Nazionale come l’Italia, in un momento di apparente difficoltà, e che cosi tanto dipende dal proprio pigmalione che la ha riportata prima a credere nella propria autodeterminazione (“Siamo padroni del nostro destino”, disse alla vigilia della finale di Euro 2020, giocatosi pero nel 2021 causa Covid), e poi al successo a casa degli inglesi? Davvero vogliamo credere sia solo un capriccio, quello di un uomo cosi rappresentativo? Davvero crediamo che lo abbia fatto solo per soldi, dopo tutti quelli (tantissimi e meritatissimi) che ha guadagnato in carriera, da calciatore prima, e da allenatore poi?
Davvero crediamo non ci sia un problema diverso, che viene da lontano?

Quel poco che mi ha insegnato la vita dice che difficilmente esistono soluzioni e spiegazioni semplicissime. Spesso la realtà propone problemi assai più articolati di come li riduciamo noi, figli e un po’ schiavi della società binaria del ‘si’ o ‘no’.
Ecco, allora (senza volerlo necessariamente giustificare, ma solo volendo cercare di capire) credo che Roberto Mancini non si sentisse più pienamente sostenuto da tempo, che ascoltasse le tante voci che volevano la Federazione in contatto con altri mister (Luciano Spalletti in primis) da mesi, che avvertisse un calante senso di fiducia nei suoi confronti, che intravvedesse magari un tentativo soft ma inesorabile di commissariamento della sua autonomia. E credo che questo, un ex calciatore di sfacciato talento, che da allenatore dell’Italia aveva riportato alla vittoria una Nazionale cui, siamo onesti, nessuno di noi aveva dato mezza lira vista la rosa e la sua esperienza ad altro livello, in partite in cui la palla pesa come quella medica e ogni gesto tecnico anche semplicissimo si complica inesorabilmente, -beh dicevo- credo che uno come lui non potesse molto tollerarlo. E che abbia preso una decisione difficile; una scelta che a questo punto lo riporta legittimamente sul mercato degli allenatori, di club e non solo, in un consesso internazionale in cui ha saputo farsi apprezzare, e dove è ovvio che uno come lui sia super appetibile: Mancio ha vinto gli Europei dando un’impronta di gioco e personalità, se vogliamo poco italiana, a una squadra giovane, che ha dimostrato grande certezza nei suoi mezzi, pur priva di giocatori blasonati e di statura già affermata sul proscenio internazionale (salvo i celeberrimi Bonucci e Chiellini). La sua Italia ha scritto una pagina storica del calcio nazionale. E quel che è successo l’anno dopo (cioè la mancata qualificazione ai Mondiali) io non l’ho mai imputata al mister campione d’Europa solo pochi mesi prima. Perché se un giocatore sbaglia due rigori decisivi in altrettante partite, difficile prendersela con chi è in panchina, in nome di un malinteso principio di responsabilità oggettiva cui in Italia siamo attaccati, solo quando non riguarda noi stessi (siamo grandi avvocati dei nostri comportamenti, e giudici implacabili solo dei comportamenti altrui).

E prima di arrivare a una simile impresa con la Nazionale italiana, Mancini aveva inanellato successi storici ovunque fosse andato. Vado a memoria, ma ricordo l’esordio in panchina da vice di Eriksson nella Lazio più forte e vincente di sempre, poi la coppa Italia con la Fiorentina, lo scudetto a Manchester, dopo aver dominato e pure sofferto, sulla sponda del City, a digiuno da decenni, e con cui si sarebbe avviata l’epopea di un club che oggi è campione d’Europa quando ai tempi era solo parente povero dell’altro Manchester, lo United che era tra i padroni d’Europa, quindi l’Inter scudettata del post calciopoli, infine l’Italia.
Dunque, è ovvio che da domani, egli sia assediato da offerte di club e di nazionali che scateneranno un’asta per assicurarsi un allenatore che vince da anni ovunque vada e lo fa dimostrando di saper infondere una personalità a gruppi di giocatori su cui molti nutrono perplessità tecniche importanti.
A noi non resta che domandarci un po’ più seriamente di quanto semplicisticamente facciamo, come mai egli abbia preferito abbandonare una nazionale di cui comunque, piaccia o meno, ha fatto positivamente la storia, e di cui da italiano tifosissimo della Nazionale, lo ringrazio.