La Corte Penale Internazionale ha emesso ordini di arresto nei confronti del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, e di Yoav Gallant, l’ex ministro della Difesa. Ci sono tante cose da leggere in argomento, tranne una: e cioè proprio la decisione che contiene quei provvedimenti restrittivi, perché la Corte ne ha “secretato” il contenuto. Intanto Guido Crosetto, ministro della Difesa, parla di “sentenza sbagliata” ma aggiunge: “Se arrivassero in Italia dovremmo arrestarli perché noi rispettiamo il diritto internazionale”.
Criminali di guerra ma con motivazioni secretate
La Corte ha giustificato la secretazione spiegando che serve a tre fini: e cioè alla salvaguardia dei testimoni e della compiutezza delle indagini; poi ad ammonire i destinatari degli ordini di arresto, giacché comportamenti analoghi (cioè i presunti crimini) sono ancora in corso; e infine a dare soddisfazione alle vittime e ai familiari delle stesse. Di fatto, ne esce una giustizia combinata pressappoco così: li arrestiamo perché abbiamo buone ragioni per considerarli dei criminali di guerra, ma non riveliamo in base a quali motivazioni li riteniamo dei criminali di guerra.
La presunta carestia a Gaza
Bisogna dunque rivolgersi altrove, per capirci qualcosa. Vale dire non al provvedimento di arresto – su cui, appunto, è apposto il segreto – ma alla richiesta di arresto che il “prosecutor” della Corte aveva svolto ormai qualche mese fa (maggio di quest’anno). Si basava perlopiù su fatti indimostrati e su dati schiettamente falsi, a cominciare dalla presunta carestia che avrebbe assediato Gaza. La carestia, diceva allora il procuratore Khan, sarebbe stata “presente in alcune aree di Gaza” e sarebbe stata “imminente in altre”. Il mese successivo, un rapporto dell’IPC (Integrated Food Security Phase Classification) annotava, in primo luogo, che la carestia non c’era e, in secondo luogo, che non c’era stata quella che, secondo le rilevazioni precedenti, avrebbe dovuto verificarsi “in ogni momento da oggi (metà marzo 2024, ndr) al maggio del 2024”. A quell’altezza di tempo, si sarebbe dovuto trattare di 1.115.000 persone in stato di carestia a livello catastrofico (livello 5 IPC, il più alto), con circa 3.000 morti per fame ogni settimana.
Uno scenario abbastanza incongruo a confronto di questa cosa un po’ noiosa chiamata realtà: fatta, a Gaza, di una situazione umanitaria certamente grave, ma davvero estranea a quelle ipotesi di decimazione per fame. Le allegazioni su cui erano fondate le richieste di arresto, dunque, erano già improbabili quando il procuratore della Corte le sbandierava in maggio, ed erano platealmente smentite da inoppugnabili evidenze contrarie di lì a pochi giorni. Ciò nonostante, quel signore non solo lasciava inalterate quelle malferme istanze, ma più volte ne sollecitava l’accoglimento di cui infine, ieri, la Corte dava quella monca notizia.
La questione civili
Si potrebbe obiettare che le richieste di arresto supponevano la commissione anche di altri presunti crimini, in particolare il deliberato attacco contro i civili palestinesi da parte delle forze armate sottoposte al comando di Netanyahu e di Gallant. Ma c’è da credere che quest’altro fronte delle allegazioni fosse abbastanza sguarnito se è vero che la Corte, nel suo comunicato di ieri, pur facendo riferimento alla questione riferiva che il materiale fornito dal procuratore consentiva di trarre conclusioni “solo su due incidenti che si sono qualificati come attacchi intenzionalmente diretti contro i civili”. Ovviamente non si sa di quali incidenti si tratti, visto il segreto fatto calare sulla decisione, ma è legittimo immaginare che, per quanto gravi essi possano essere, difficilmente avrebbero potuto tenere in piedi una richiesta di arresto che disegnava una generale programmazione sterminatrice.
È poi interessante la parallela decisione emessa dalla Corte ancora ieri. Diversamente rispetto all’altra, che ha destino segreto, questa ha invece sorte pubblica. Illustra un’altra particolarità – chiamiamola così – di questa giustizia. Israele, infatti, aveva contestato la giurisdizione della Corte (non entriamo in dettagli avvocateschi), ma questa ha respinto l’eccezione argomentando che gli Stati possono contestarne la giurisdizione della Corte stessa dopo che un loro cittadino è arrestato, non prima. Si tratta sicuramente di una regola assistita da ragioni auree, ma diciamo che è strana perché, di fatto, suona così: per difendere il diritto di qualcuno di non essere ingabbiato, bisogna aspettare che lo ingabbino.
Ma la realtà è che il criterio giuridico è l’ultimo, in utilità e appropriatezza, per discutere di questi mandati di arresto. Se pure la Corte fosse dotata della giurisdizione che Israele (con altri) contesta, sarebbe evidente che quel collegio l’ha esercitata per procura dei tanti che avevano un obiettivo ben diverso rispetto all’affermazione di qualsiasi ragione di giustizia. E cioè l’obiettivo di togliere a Israele il diritto di fare la guerra a quelli che vogliono distruggerlo, e di vincerla. L’obiettivo di fare di quel diritto un immenso crimine.