Celle sovraffollate, strutture penitenziarie fatiscenti, educatori e psicologi in numero irrisorio, attività di rieducazione non per tutti, assistenza medica a singhiozzo, a singhiozzo e non per tutti anche i percorsi per detenuti con problemi psichiatrici o di tossicodipendenza. E poi, le celle chiuse, l’ozio forzato, la convivenza in ambienti angusti, lo spazio vitale non sempre assicurato, i detenuti stranieri che non hanno mediatori culturali, i detenuti malati che vengono curati a stento, quelli anziani che non ce la fanno a essere autonomi. E ancora, il caldo asfissiante, la penombra perenne, una stanza per quattro dove si vive in otto, una finestra con le sbarre troppo piccola per far passare luce e aria, l’acqua potabile che manca e i rubinetti da cui esce acqua marrone, l’acqua potabile che c’è ma dai rubinetti ne esce soltanto un filo. Si potrebbe continuare ancora e descrivere l’inferno senza fine che sono le carceri, un inferno ancora più inumano se si considera il numero di persone che ci restano recluse da innocenti. Numeri agghiaccianti che scivolano sulle coscienze dei più, pur descrivendo una realtà drammatica, ingiusta e per questo pesante come un macigno. Ma questo è ancora il Paese dove la polvere si nasconde sotto il tappeto, dove le situazioni si affrontano solo dopo che si verificano i disastri, dove le emergenze diventano l’ordinario, dove i problemi assumono valore solo per chi li vive in prima persona altrimenti si fanno spallucce. In particolare, poi se si affronta l’argomento carcere. I dati emersi dal rapporto di metà anno dell’associazione Antigone fotografano una realtà sempre più disastrosa ma per la quale quasi nessuno si scandalizza.

I numeri contenuti nel report presentato nei giorni scorsi sono scivolati rapidi nell’indifferenza collettiva, pur meritando ben altro clamore. Proviamo quindi a leggerli bene quei numeri, per comprendere quale realtà ci illustrano e quali emergenze la politica e l’opinione pubblica stanno continuando a trascurare. Nella prima parte dell’anno i dati confermano che circa il 29% dei detenuti non ha una condanna definitiva, il 15% è in attesa di primo giudizio mentre resta ampio il ricorso alla custodia cautelare. Poco conta che nel 2021 siano stati pagati 24 milioni di euro per indennizzi per ingiusta detenzione, la politica giustizialista, il panpenalismo la fanno ancora da padrone. A fronte di 54.841 presenze nei penitenziari del Paese, si contano ancora troppi detenuti in attesa del primo giudizio, quindi presunti innocenti a tutti gli effetti, persone solo sfiorate da un’indagine penale, raggiunte da accuse rispetto alle quali non c’è stata ancora nemmeno una sentenza. Difficile pensare che si tratti di tutti criminali pericolosissimi, del resto le statistiche dicono che la metà delle inchieste si risolvono in un nulla di fatto per cui almeno la metà dei detenuti in attesa di sentenza definitiva sono in carcere ingiustamente. In particolare, i detenuti in attesa di primo giudizio sono 8.329, gli appellanti cioè quelli condannati in primo grado e in attesa di processo d’appello sono 3.658, i ricorrenti in Cassazione 2.693. La percentuale dei detenuti definitivi – pari al 71% – è in aumento rispetto al semestre precedente. Quanto alla custodia cautelare e alle ingiuste detenzioni, nel dossier si riportano i dati ministeriali. «Dati sorprendenti – sottolinea Antigone provando a squarciare il velo di indifferenza che l’opinione pubblica e una gran parte della politica mette sul tema carcere -. Innanzitutto, colpisce il fatto che la più restrittiva delle misure cautelari personali, la custodia cautelare in carcere, è anche la più diffusa, adottata nel 29,7% dei casi in cui nel 2021 si è ritenuto che fosse necessario applicare una misura, e la seconda misura più restrittiva, gli arresti domiciliari, è anche seconda per diffusione, scelta nel 25,7% dei casi». Secondo Antigone sono «altrettanto sorprendenti le differenze di applicazione delle misure cautelari, e in particolare della custodia cautelare in carcere, guardando ai diversi tribunali».

E qui la lente si posa sulla realtà giudiziaria napoletana evidenziando quanto ampio sia il ricorso alle manette facili. «Se, come detto, in Italia in media si opta per la custodia cautelare nel 29,7% dei casi in cui si applica una misura, questa percentuale – sottolinea Antigone – a Napoli è del 51,2%, a Roma del 25,6%». Se si confronta il dato sulle misure cautelari emesse con il dato delle ingiuste detenzioni (circa cento ogni anno a Napoli solo tra le istanze arrivate a sentenza, ci sono quindi centinaia di altri casi non denunciati o ancora sub iudice) è chiaro che si è ancora in presenza di abusi della misura cautelare da parte di pm e giudici. Inoltre, in relazione agli indennizzi che lo Stato paga alle persone che sono state in custodia cautelare o agli arresti domiciliari per un procedimento per il quale sono state poi prosciolte o assolte, oppure nei casi in cui è accertato che la misura cautelare è stata adottata in violazione dei presupposti di legge, in Italia, nel 2021, sono stati pagati 24.506.190 euro (nel 2020 erano stati 36.958.291) per 565 indennizzi (750 nel 2020), per una cifra media di 43.374 euro per indennizzo (nel 2020 la cifra media era stata di 49.278 euro). Il fenomeno dietro questi numeri è ben più ampio, perché c’è un gran parte di casi non denunciati, centinaia di innocenti che escono stravolti dall’esperienza del carcere e non hanno la forza né psicologica né economica per affrontare altri processi. «Ventiquattro milioni possono in effetti sembrare molti – osserva infatti Antigone – ma il numero degli indennizzi riconosciuti e’ in effetti piuttosto basso»

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).