Un illustre articolista del Fatto Quotidiano, Gian Carlo Caselli, ha scritto l’altro giorno che «il garantismo doc, o è veicolo di uguaglianza (e non di sopraffazione e privilegio), o semplicemente non è». Il resto del garantismo, spiega, cioè quello che ha denunciato l’inciviltà delle riforme del Dj in parentesi ministeriale, è “tarocco”.

Vale la pena di restarci un momento. Perché è abbastanza vero che una certa parte della magistratura, sia essa in ritiro o invece in ruolo attivo, desidera in candida equanimità un sistema di giustizia uguale per tutti. Bisogna vedere tuttavia in che cosa dovrebbe risolversi questo ugualitarismo giudiziario. L’impressione è che si tratti del desiderio che lo Stato tolga diritti a tutti; che tutti siano sommessi a una giustizia incattivita; che tutti e in modo appunto eguale siano cittadini di un Paese intimorito. E c’è senz’altro una specie di buona fede in quel desiderio. Solo che esiste – dovrebbe poter esistere – un’impostazione diversa e opposta, e cioè che sia preferibile un sistema di uguaglianza nell’affermazione anziché nella compressione dei diritti delle persone. Uguali con meno anziché più galera. Uguali con meno anziché più carcerazione preventiva. Uguali con meno anziché più manette. E per stare al direttore di Gian Carlo Caselli, che vuole vedere i detenuti “in catene”: uguali senza catene, anziché tutti in catene.

Questo sarà pure un garantismo diverso rispetto a quello plumbeo vagheggiato da Gian Carlo Caselli e dal giornale che ne pubblica le ruminazioni, ma fino a prova contraria non è “tarocco”. E la prova contraria, si permetta, non la ritroviamo negli articoli di elogio che Il Fatto Quotidiano, pel tramite di questo o quel collaboratore togato, dedica al “nostro Guardasigilli”.

Nel diuturno lavorìo screditante di questi candidi moralizzatori è sempre presente il riferimento obliquo a una pretesa mira assolutoria del garantismo che non gli piace, insomma l’idea che ci si muova a spuntare le armi dei giudici per proteggere il privilegio dei potenti. Ma devono cacciarsi in testa che non è così, e che alcuni (pochi magari, ma ci sono) risentono i problemi di giustizia come problemi di tutti: alcuni a cui l’ingiustizia ripugna perché c’è, non secondo che affligga questo o un altro.

Ed è vero che l’ingiustizia in questo Paese opprime innanzitutto la povera gente ed infatti è di questa, di povera gente, che le carceri sono piene. È vero, ci finiscono soprattutto i poveri e i disadattati, là dentro. Garantismo, per noi, sarebbe sprigionarli. Per altri sarebbe riempire ancora quelle prigioni e mandarci dentro quanta più gente possibile. Possibilmente in catene. È un’uguaglianza che non ci piace.