Il luogo dell’alta cultura, la più antica università pubblica al mondo, creata proprio al fine di fornire un funzionariato dedito alla causa dello Stato federiciano, non di questa o quella fazione, si ferma a un passo dal diventare una clacque scomposta, a farsi clava del potere politico, a supportare di peso un collega che si è candidato a sindaco della città in cui ha sede la stessa università. Naturalmente il promotore dell’iniziativa fa retromarcia quando gli viene fatta notare l’enormità del gesto contrario alla normativa sulla privacy, che non consente senza alcuna cautela di creare database, e capace di trasmettere il sentore di una schedatura politica. Iniziativa sicuramente contraria anche alle norme disciplinari dell’Ateneo e dell’impiego pubblico, alle quali il docente dovrebbe sottostare e che qualche conseguenza dovrebbero pure sortire perchè Amato, docente di Chirurgia vascolare, non è chiamato a essere un fine giurista ma un po’ di senso della posizione dovrebbe mostrarlo.
La sua iniziativa, però, è contraria soprattutto al buon senso, alla civiltà del diritto e alla cultura della democrazia. Il gesto individuale è la punta dell’iceberg del degrado raggiunto dalla società civile e della politica, dove non si distinguono più i confini tra l’attività dell’istituzione e la campagna elettorale, la comunità e la fazione, e la classe dirigente smette di essere tale per diventare cortigiana. È normale che amici e colleghi si mobilitino per Manfredi. Meno normale è che il tutto si avvicini pericolosamente a un crisma di ufficialità, lambendo un’istituzione che peraltro è il luogo del confronto e del sapere critico. Ciò dimostra che, presso la classe dirigente, è decaduto il senso dei confini che perfino democristiani e comunisti custodivano con un certo rigore.
Per quanto l’iniziativa sia individuale, il danno di immagine ai danni di Manfredi e della città non è da poco. Tutto lascia credere che, in caso di elezione a sindaco, l’ex rettore pescherà a piene mani nel mondo delle competenze, a partire dagli atenei. Napoli, d’altra parte, ne ha bisogno. La parte più esaltante della sindacatura di Bassolino, nel 1993, coincise con l’impiego massiccio di docenti universitari in una giunta che fu definita tecnica ma che in realtà era finemente politica: da Ada Becchi Collidà a Scipione Bobbio, da Guido D’Agostino ad Amato Lamberti, senza dimenticare Vezio De Lucia e l’allora giovane Amedeo Lepore. E anche nella più sfortunata esperienza di Rosa Russo Iervolino, i fiori all’occhiello erano Rocco Papa e Raffaele Porta. È naturale. Sia perchè gli intellettuali sono parte integrante della città sia perchè la politica napoletana, dalla caduta dei partiti, accusa una drammatica carenza di cultura e competenze e tende a non chiedere altro se non fedeltà e intruppamento.
Dunque è giusto che sia così. Ma come distinguere questo fisiologico e positivo processo dal sospetto che si tratti di altro dall’attingere virtuoso alla ricca società civile, magari per cedere alla faziosa distinzione tra “amici” e “nemici” dove i primi sono da beneficiare con potere e consulenze? Non sono mancate stagioni della politica napoletana dove la distribuzione di consulenze aveva una valenza o un sentore clientelare, più che essere legata a effettive esigenze. Manfredi sarà sicuramente estraneo ai fatti e lontanissimo da questa logica ma l’improvvida iniziativa di Amato un danno già l’ha prodotto.