L’analisi del programma di Gaetano Manfredi
Manfredi vuole ristrutturare il Super Cinema, ma per le periferie serve ben altro
Avevo 14 anni nel 1980, quando il Super Cinema di San Giovanni a Teduccio fallì e il Comune di Napoli lo acquistò per destinarlo ad attività culturali aperte alla cittadinanza. In quel tremendo 1980 le macerie materiali del terremoto si aggiungevano alle ferite sociali inferte dalla deindustrializzazione che procedeva a ritmi serrati trasformando in uno squallido deserto ciò che era una laboriosa comunità operaia.
Erano gli anni in cui la camorra di Raffaele Cutolo mieteva vittime e faceva proseliti tra gli stessi figli di quegli operai senza alcun futuro, già più poveri dei loro padri. Una frattura generazionale che non è mai stata risanata e che ancora pesa sul futuro di quella periferia. Per decenni, a ogni scadenza elettorale, i programmi hanno rilanciato il tema della ristrutturazione del Super Cinema che è diventato una sorta di mantra obbligato, recitato senza alcuna connessione con la realtà, e spesso i candidati che ne parlavano neppure avevano mai visto la struttura. Non mi meraviglia che il famigerato Super Cinema sia finito a pagina 70 del programma elettorale di Gaetano Manfredi. E non mi meraviglierei nel vederlo inserito anche nei programmi di Catello Maresca, di Antonio Bassolino e di Alessandra Clemente. A parte Bassolino, che ben conosce il quartiere per la sua passata militanza politica, temo che nessuno degli altri candidati abbia mai visto il Super Cinema e che neppure abbia intenzione di vederlo.
Nel corso di questi quattro decenni, la struttura, ridotta ormai a rudere fatiscente (pericoloso anche per la stabilità dell’edifico abitato di cui fa parte), è stata oggetto di varie occupazioni e di una infinita serie di progetti di ristrutturazione, molto probabilmente anche ben pagati a studi professionali. Ma il Super Cinema è ancora lì, chiuso e pericolosamente inerte. Dubito che i giovani adolescenti di San Giovanni sappiano dell’esistenza di un Super Cinema (addirittura “Super”) nel loro quartiere. Del resto quale valore aggiunto sociale potrebbe dare al quartiere un cinema nell’epoca di Netflix e degli smartphone? Forse aumentare gli spazi ricreativi e culturali (in un contesto ad alta criminalità mi sembra davvero il minimo)? O forse, una volta ristrutturato (ammesso che il restyling promesso diventi realtà) il “novello” Super Cinema farà la stessa fine del parco Massimo Troisi, con il suo laghetto prosciugato, inserito nell’ultramoderno quartiere residenziale noto come Bronx, “orgoglio” della periferia orientale (ovviamente la mia è amara ironia)?
Mi chiedo con quale criterio oggi vengano redatti i programmi politici. Se le risorse ci saranno, perché non concentrarle sui nuovi insediamenti universitari (ex stabilimenti Cirio) della Federico II, progettando spazi culturali moderni aperti alla cittadinanza ed evitare che il polo sia l’ennesima cattedrale nel deserto? Perché non dedicare le risorse a un coerente programma di ristrutturazione urbanistica partendo proprio dalla riqualificazione del degradato contesto urbano in cui sorge il polo universitario o, magari, destinarli al Bronx o al risanamento del parco? L’idea (interessante) di Manfredi di una città policentrica non può prescindere da una riqualificazione delle periferie. Ma forse sono poco informato e la cittadinanza di San Giovanni aspetta con ansia solo la riapertura del Super Cinema.
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