Il piano
Manifatturiero, l’Europa non ha competitor ma Bruxelles deve cambiare testa. Confalonieri: “Cruciale il recupero della plastica”

«I calci di Trump ci stanno svegliando». Ne è convinto Paolo Kauffmann, Ceo di Matherika Group, azienda specializzata nella consulenza nei mercati dei materiali e delle commodity. A due mesi esatti dall’insediamento del tycoon e con l’ennesimo annuncio, ieri, della data di applicazione dei dazi Usa sull’import Ue – si dice il 2 aprile – c’è chi nel mondo produttivo vuole essere ottimista. Sarà perché la tattica di Trump del «colpisci e confondi» è nota ai broker, ma ancor più perché la reazione che l’Europa sta dimostrando non è da sottovalutare. «Abbiamo buttato via anni parlando di climate change e illudendoci di poter vivere grazie ai B&B», aggiunge Kauffmann. «Abbiamo perso le competenze. Ma questo non vuole dire che non possiamo recuperarle».
Il Covid aveva messo già in discussione le catene del valore. Oggi i dazi possono fare altrettanto. Andando a recuperare quell’industria di base su cui è stata costruita l’Unione Europea. Partendo da acciaio e chimica, per poi passare all’automotive, alla plastica e alla Difesa. Attenzione, quindi, agli eccessi. «L’ultraliberismo ha fatto sì che il mercato europeo venisse invaso dal Made in China. La visione autarchica degli Usa indurrebbe a chiudere anche noi le frontiere. Ma a che prezzo?». Kauffmann riflette sul piano da mille miliardi con cui la Germania ha detto addio all’austerità: «Con queste cifre e con la sua propensione all’export, mettere delle barriere al mercato tedesco è da suicida».
Il manifatturiero europeo non ha competitor
Per quanto l’Europa manchi di materie prime e paghi l’energia a costi esorbitanti, il suo manifatturiero non ha competitor. La stessa industria italiana lo dimostra. La nostra leadership in fatto di «tool for tool», ovvero di macchinari atti a produrre beni finali – il famoso designed Made in Italy – ci è invidiata e copiata da tutti. Cosa succederebbe alle imprese cinesi e Usa se un giorno decidessimo di distribuirlo soltanto qui in Europa? «Nessuno mette in discussione la congiuntura difficile. Ma le crisi si superano con una strategia», afferma Romano Pezzotti, amministratore delegato di Fersovere Srl, impresa specializzata nella trattazione del rottame ferroso. «La siderurgia è da sempre cartina tornasole del sentiment degli imprenditori», aggiunge. «In questo momento il panico va per la maggiore. Ma se davvero fossimo sul ciglio di un burrone, i prezzi delle materie prime sarebbero così alti? Diciamo piuttosto che siamo all’inizio di una fase positiva. E, che invece di continuare a inseguire aiuti e agevolazioni, le imprese dovrebbero puntare sulla ricerca e sull’innovazione». In Italia abbiamo il 75% del fabbisogno nazionale di rottame. Altro che crisi di materie prime.
Il caso della plastica
Lo sa bene la filiera della chimica, divenuta ormai la Cenerentola della manifattura europea. Se infatti la crisi dell’automotive è sulla bocca di tutti, meno noto è il calo del 4%, nel 2024, della produzione di plastica in Italia. La plastica, bene di invenzione europea – anzi, italiana, grazie al Nobel Giulio Natta – è diventata nell’ideologia green il male assoluto. Salvo poi accorgersi, con il Covid, del suo uso indispensabile. «Il nostro problema sono gli impianti di sintesi di etilene obsoleti, i costi, le asimmetrie normative che impongono alle imprese standard ambientali inesistenti fuori dal nostro continente», dice Fulvio Confalonieri, direttore generale di Guztec Polymers, specializzata nella distribuzione di polimeri ad alte prestazioni, tecnopolimeri e polimeri standard. Plastica vuol dire petrolio? Fino a un certo punto, visto che la sua produzione copre solo l’8% dell’industria dell’oro nero. «Qui, in Europa, la filiera del recupero della plastica è ben più avanzata e ha tutte le sue buone ragioni perché cresca».
Cosa ci blocca, quindi? Non tanto a far la guerra agli Usa, bensì a tenergli testa. Snellimento del processo decisionale – il veto in Consiglio Ue, giusto per restare alla cronaca di questi giorni – e definizione degli obiettivi con una loro coerente strategia. Questo chiedono le imprese. «Bruxelles deve cambiare mentalità. Gli imprenditori devono continuare a investire nel più grande mercato di consumatori al mondo», chiude Kauffmann.
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