Così la nazione resta prigioniera delle proprie menzogne
Manifesto di Ventotene, tutte le volte che la politica ha riscritto la storia: dall’Unità d’Italia alla dittatura dal volto umano di Mussolini

La lettura distorta che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dato del Manifesto di Ventotene alla Camera ha acceso un duro scontro con le opposizioni, che l’hanno accusata di strumentalizzazione politica. Al di là delle inesattezze storiche insite nel citare un testo del 1941 decontestualizzandolo, questa vicenda riporta alla luce un problema strutturale della politica italiana: l’uso selettivo e politico della Storia. Nel nostro Paese, i grandi eventi del passato non vengono affrontati con l’intento di comprenderli, ma utilizzati come strumenti di lotta ideologica.
Dall’Unità d’Italia al fascismo, dalle foibe alla Resistenza, dagli Anni di piombo alla Seconda Repubblica, la nostra Storia è stata più volte piegata alle esigenze della politica. Solo per fare qualche esempio: nel secondo Dopoguerra, la destra post-fascista cominciò a minimizzare il contributo della Resistenza, enfatizzando al contempo la memoria dei “vinti” della Repubblica di Salò, contribuendo alla narrazione autoassolutoria degli italiani brava gente, che eludeva le responsabilità del fascismo nei crimini di guerra.
Mussolini “non ha mai ucciso nessuno”
Decenni dopo, Berlusconi e la destra post-Msi parlavano addirittura di dittatura dal volto umano, sostenendo che Mussolini non aveva mai ucciso nessuno. Come non menzionare la tragedia delle foibe, usata come clava politica da una parte e dell’altra: la sinistra per anni ignorò il dramma degli esuli istriani e dalmati, mentre la destra lo impiegò per delegittimare l’antifascismo, parlando persino di un fantomatico tentativo genocidario. Per non dimenticare poi quando la Lega Nord demonizzava l’Unità d’Italia, dipingendo il Risorgimento come un’occupazione militare del Sud, ignorandone cause e motivazioni. Falsità di una destra settaria e nazionalista che, di fronte al cambiamento delle opportunità politiche, qualche decennio dopo riesumava il mito del condottiero dei Mille esaltandolo accanto a Mazzini e Cavour.
Ciò accade quando la politica si serve della Storia per riscrivere il passato in funzione del presente: si minimizzano i crimini di una dittatura, si equiparano colpe reali e presunte, si invita a voltare pagina o si resuscitano vecchie polemiche per convenienza politica. Peggio ancora, si pretende di imporre chiavi di lettura ufficiali, soffocando il dibattito e condizionando la memoria collettiva.
La storia non è un’arma nelle mani del potere
Ma la Storia non può e non deve essere un’arma nelle mani del potere. Agli storici il compito di scrivere le verità storiche, alla politica quello di rispettarla. Benedetto Croce diceva che la Storia è sempre contemporanea, perché il suo studio ci aiuta a comprendere il presente e a preparare il futuro per chi verrà dopo di noi, per chi leggerà di noi. Ma affinché ciò avvenga, essa deve essere rispettata, non distorta. Senza un rapporto maturo e onesto con la propria Storia, una nazione resta prigioniera delle proprie menzogne. E senza pace con il passato, non potrà mai avere un futuro.
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