Si preparano a dire addio alla serie che li ha resi famosi in tutto il mondo Belén Cuesta, Enrique Arce e Pedro Alonso, rispettivamente Manila, Arturito e Berlino in La casa di carta. I cinque episodi della stagione finale, la Parte 5, saranno infatti disponibili su Netflix dal 3 dicembre. Giunti a Roma, gli attori si preparano a fare un bilancio di un’avventura durata quattro anni. Nel passaggio da Antena 3, il canale spagnolo su cui è andato in onda inizialmente, a Netflix, i ladri antisistema più famosi di Spagna sono passati rapidamente dallo stare per finire nel dimenticatoio al successo mondiale.

In attesa del “Gran Final”, la parola va ai tre attori per scoprire come La casa di carta non sia solo una delle serie tv non in lingua inglese più viste su Netflix ma sia diventata, in breve tempo, fenomeno di costume, politica e società. «La chiave di lettura giusta me l’ha data un regista portoghese – esordisce Arce – mi ha detto che è il mix perfetto tra azione e telenovela classica. Per altro noi siamo arrivati in un momento in cui c’era questo sentimento antisistema, questo andare contro il governo, le banche, la serie infatti inizialmente si doveva chiamare Gli sfrattati. Io per altro ho anche girato in Cile – continua – e quando andai c’erano grandi manifestazioni per le strade, la gente portava la tuta e la maschera de La casa di carta». Il nemico è ancora in agguato all’interno della Banca di Spagna, ferito ma pericoloso come sempre, la banda si troverà ad affrontare l’ora più buia e la più grande sfida: recita così la trama degli episodi finali della serie, che nessuno dei tre attori ha ancora visto ma solo girato.

«Proprio poco fa stavo pensando che non sono neanche consapevole che stia per finire» precisa Belén Cuesta. Arce, Cuesta e Alonso lasciano intendere che Álex Pina, ideatore e sceneggiatore della serie è l’uomo dalle mille sorprese e che non è tutto come sembra al momento delle riprese: «Non sappiamo come finisce – rivela Pedro “Berlino” Alonso – abbiamo girato solo un finale ma Álex Pina può anche aver cambiato tutto al montaggio, quei cinque capitoli sono tutti pezzi di un puzzle emotivo». Aggiunge “Arturito” Arce: «Quando Alex, che è una tipica persona del nord poco espansiva, mi raccontò della prima parte dell’ultima stagione, disse con voce rotta che aveva pianto durante la scrittura. Possiamo dirvi quindi solo che gli ultimi episodi siano più belli dei primi». La casa di carta rappresenta ed ha rappresentato un simbolo per chi pensa o va contro il sistema prestabilito, non a caso le tute e la maschera sono spesso indossate in manifestazioni. Chi sono i contestatori di oggi? Che i no vax di oggi in Italia siano effettivamente contro il sistema? «Non pensavo che in Italia ci fossero i no vax – precisa Alonso – io sono contro il sistema e anche con il sistema. Sono entrambe le cose. Viviamo in un momento di transizione, la società a volte sembra andare verso il baratro e in altri momenti no. Oggi come oggi non abbiamo più le certezze che avevamo un tempo. Io ho fatto il vaccino tardi. Mia madre mi ha chiesto: sei contro? No, non l’avevo fatto fino a tre giorni fa solo perché non avevo tempo. Bisogna che ci poniamo delle domande che magari in passato non ci ponevamo. Io non sopporto le persone che sono convinte di avere ragione rispetto a tutti gli altri».

Da pochi giorni Eddie Redmayne, premio Oscar per La teoria del tutto, ha dichiarato di essersi pentito di aver interpretato una donna trans in The Danish Girl perché è un ruolo che sarebbe dovuto andare ad un attore transgender. La Manila di Belén Cuesta in La casa di carta è una donna trans e l’attrice “giustifica” la sua scelta e interpretazione andando a sottolineare il messaggio della serie: «È un argomento delicato – esordisce – prima di accettare ho parlato con molte associazioni e mi sono chiesta se farlo o no. Io sono un’attrice, è vero che interpreto una donna transgender ma interpreto soprattutto una donna. La casa di carta è la serie tra le più viste al mondo, anche in posti dove le persone trans sono perseguite, torturate, l’intenzione era normalizzare questa situazione».

Anche chi non conosce La casa di carta, sa che alla serie si deve il ritorno di Bella Ciao, canzone simbolo dei nostri partigiani e per lo show, segno di resistenza. Enrique Arce descrive la commozione sul set: «Questa serie ha avuto sicuramente il pregio di trattare un perfetto mix di concetti di grande profondità, intrattenendo. Se un giovane mi chiede qualcosa di questa canzone, io gli dico vai su Google e cercane il significato vero. Il giorno che abbiamo girato la scena di Bella Ciao è successo qualcosa di particolare sul set. Uno dei responsabili del suono piangeva ascoltando questa canzone perché suo nonno era stato un partigiano». Maschere e tuta e una lingua diversa dall’inglese fanno pensare a La casa di Carta ma anche, da qualche mese, al fenomeno coreano Squid Game. Ci sono punti di contatto? «Proprio no, sono tutto l’opposto – risponde velocemente Arce – la nostra è anti sistema e di sinistra, quella è fascista completamente. La gente lotta per sopravvivere per il denaro e il potere. La vita non vale nulla. Lotta pura e dura. Nel nostro caso si lotta per motivazioni diverse».