Il governo ha posto la questione di fiducia alla Camera sulla Manovra. Lo ha annunciato ieri all’Assemblea di Montecitorio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà tra le vibranti proteste delle opposizioni, Fratelli d’Italia e Alternativa, che hanno intonato in Aula il coro «elezioni, elezioni». Le dichiarazioni di voto sulla fiducia si svolgeranno a partire dalle 17.15 di oggi. Intorno alle 19 è prevista la prima chiama, poi i voti su articoli e odg. Il voto finale ci sarà a partire da domani alle 9.
Per l’esecutivo guidato da Mario Draghi si tratta della 35esima fiducia in quasi 11 mesi. Senza contare quella posta all’atto dell’insediamento nei due rami del Parlamento e considerando che i lavori parlamentari riprenderanno l’11 gennaio, la media per l’attuale esecutivo è di quasi 3,2 voti al mese, ha calcolato l’Adnkronos: un record che supera quello di Mario Monti, che era ad una media di 3 al mese, in un raffronto basato sulle ultime tre legislature.
Ma far discutere è anche un emendamento alla legge di Bilancio, approvato al Senato, secondo il quale il tetto di 240 mila euro in vigore dal 2011 per i massimi vertici della P.a potrà essere superato. La norma -come aveva anticipato il Sole 24 Ore– prevede che anche per i vertici si applichino gli incrementi previsti dai rinnovi contrattuali.
La misura vale anche per le aziende partecipate non quotate. In questo modo chi fra i dirigenti ha da anni la retribuzione ferma potrà vedersi aumentare lo stipendio nella stessa percentuale del resto del personale del proprio comparto. La misura è destinata ad avere effetti dal 2023 e non sarà annuale perché sarà fatta sulla base del rinnovo dei contratti. «Invece di pensare ad alzare gli stipendi a milioni di persone che pur lavorando non arrivano alla fine del mese, invece di intervenire per un salario minimo e dignitoso, il governo ha pensato ancora una volta a chi ha già risorse a sufficienza», ha attaccato il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni.