Manovra, la solita finzione istituzionale delle Camere e i parlamentari con il trolley

Forse il primo è stato Marco Pannella. Quando inveiva contro la partitocrazia, di fatto celebrava l’agonia del Parlamento. Ogni volta che ci avviciniamo alla fine di dicembre, il tormentone della Legge di Bilancio – chiamatela come volete, finanziaria o manovra – riaccende la luce sulla inutilità delle Camere. Sia detto con rispetto, ma lo spettacolo a cui assistiamo induce a parlare apertamente e con schiettezza. A turno, chi è all’opposizione alza di più la voce, scandalizzandosi per l’umiliazione subita dall’Aula e dai parlamentari, ma è un gioco di ruolo. Dipende a chi tocca. E tutti, a turno, ci giocano.

Il maxi-emendamento

Da anni è così. Punto. Dopo settimane di chiacchiere prodotte dalle tabelle pubblicate a settembre e dopo i rituali della Nadef che ha preso il posto del Def, a dicembre il governo prepara il maxi-emendamento che pone fine a dibattiti veri e pro forma. Per predisporre il testo della legge più importante dell’anno – quella che attribuisce le risorse per amministrare il paese – si finisce per giocherellare con i bonus “lavatrici” invece che impegnarsi a tracciare orizzonti di sviluppo, in sintonia con le risorse disponibili e utilizzando il contributo (augurandosi che ci possa essere) degli “eletti” del popolo. Ogni anno si finisce così, alla ricerca del testo finale che consenta ai parlamentari di smobilitare in tempo utile per evitare l’esercizio provvisorio e soprattutto per evitare di perdere la prenotazione per un posto sul Frecciarossa o su Italo. O su qualche volo per tornare a casa o per andare direttamente in vacanza.

Il percorso

Il parlamentare con il trolley è il simbolo di questo parlamentarismo in affanno da decenni, qualunque sia la maggioranza. Nello specifico, il percorso parlamentare della Legge di Bilancio potrebbe essere corretto da un semplice intervento regolamentare. Non bisognerebbe scomodare il solito pacchetto di riforme istituzionali, che poi raramente superano il blocco dei referendum confermativi, quando si tratta di toccare la nostra Costituzione. Si dirà che per misurare l’inefficienza del Parlamento potrebbero bastare i numeri della decretazione di urgenza. O la frequenza dell’iniziativa legislativa a cui fa ricorso il governo. Nei primi 7 mesi di questa legislatura, iniziata il 13 ottobre 2022, quasi l’80% delle leggi approvate dal Parlamento è stata frutto di proposte del governo: è la percentuale più alta tra i grandi paesi europei. E con il tempo, cioè nel 2023 e nel 2024, le cose sono proseguite con lo stesso trend: nei due anni della legislatura in corso, la media ci dice che solo un quarto delle leggi approvate è di iniziativa parlamentare; il 75% proviene dal governo. E qui si potrebbe aprire il solito capitolo della decretazione d’urgenza, usata e abusata da tutti gli esecutivi che si sono susseguiti.

La verità

La repubblica parlamentare rischia di diventare un’etichetta poco attinente alla realtà istituzionale del paese. Una definizione assai imperfetta. Di perfetto resiste solo il bicameralismo che, con i suoi barocchismi spesso inconcludenti, costituisce forse un progressivo deterrente per la centralità del Parlamento. La nostra Costituzione viene ogni tanto definita “la più bella del mondo”. Sarà, ma certamente rischia di essere la più lontana dalla realtà dei fatti. Tutto sembra finzione. I decreti legge devono obbedire a “necessità e urgenza”. Vero? Non proprio. Il Parlamento esercita il potere legislativo. Vero? Abbiamo visto che non è così. Il percorso della Legge di Bilancio è una cartina al tornasole – la più clamorosa – di una finzione istituzionale che non può non preoccupare chi è garante della Costituzione. L’articolo 87 della Costituzione prevede il “messaggio alle Camere” da parte del capo dello Stato. Non si tratta della singola promulgazione rinviata per vizi di forma e di legittimità. Non si tratta nemmeno di sapere quanto e quando la promulgazione di una singola legge sia stata condivisa o meno dal Quirinale (si tratta di politica, non di istituzioni), ma di richiamare un comportamento istituzionale e costituzionale che la nostra Repubblica ha perso da tempo. Siamo ancora una repubblica parlamentare?