Luigi Marattin, deputato eletto con il Terzo polo, è uscito da Italia Viva lo scorso 9 settembre dando vita all’associazione Orizzonti Liberali che traghetta l’anima liberale e centrista di IV verso un nuovo soggetto politico. Gli abbiamo chiesto come si organizzerà l’area nel prossimo futuro.

Marattin, la sua è stata la prima. Ma non passa giorno senza che si registrino nuove uscite da Italia Viva. È la fine di una parabola, della storia di una comunità politica?
«Mi consentirà di non commentare. Alla comunità di Italia Viva devo tanto, e ne conservo splendidi ricordi nonostante una piccola parte di quella comunità mi abbia riempito di insulti come non aveva neanche mai fatto i M5S. Il fatto che abbia deciso di lasciarla, per divergenze politiche di merito e di metodo, non mi dà il diritto di infierire nei loro momenti di difficoltà. Quello che dovevo dire l’ho detto un mese fa, quando me ne sono andato. Sul resto penso che ciascuno possa giudicare da sé».

Molti delusi dell’area centrista raggiungono Forza Italia. A livello locale e nazionale. Lei crede all’ipotesi di un impegno in politica di Piersilvio Berlusconi nel prossimo futuro?
«Non ho elementi per farmi un’opinione. Dico solo che in Italia piace molto costruire leggende su voci di corridoio. Si auto-alimentano, crescono e poi non le ferma più nessuno. E così si arriva al “correva voce che l’Italia stesse vincendo 20-0, e avesse segnato anche Zoff di testa su calcio d’angolo”, narrato da quel genio immortale di Paolo Villaggio nel Secondo Tragico Fantozzi. Certo il tema di chi rappresenterà politicamente quel pezzo di Italia che non ne vuole sapere di andare a braccetto con gli estremismi comincia ad essere parecchio sentito, mi pare».

Adesso lei ha dato vita a Orizzonti Liberali. Che cos’è e che cosa vuole essere?
«Un’associazione di libere menti, basata su tre cose. La prima è l’obiettivo: contribuire alla nascita, tra un anno, di un partito liberal-democratico e riformatore, autonomo dai due poli. La seconda è il metodo: i territori, che nei partiti della Seconda Repubblica servono solo a riempire le sale quando arriva il leader, stavolta sono il centro e i protagonisti dell’azione politica. La terza è il merito: quattro o cinque grandi tematiche che destra e sinistra ignorano. Meno spesa per ridurre le tasse davvero; rivoluzione meritocratica e concorrenziale; il tema delle retribuzioni come problema di produttività; attenzione al “come” si spende più che al “quanto”; le pari opportunità come condizione di partenza, non di arrivo».

Dunque, a fine novembre vedrà la luce il nuovo partito dei liberaldemocratici italiani? Nel passato i tentativi, da Dini a Oscar Giannino, da Passera a Mario Monti non hanno portato grandi risultati. Dove hanno sbagliato?
«Il 23-24 novembre a Milano faremo una grande iniziativa di avvio del percorso costituente, ma al partito vero e proprio arriveremo più avanti, dopo che ci saremo strutturati sui territori e avremo costruito una maggiore coesione interna. Sui tentativi passati, non voglio giudicare. Me la cavo dicendo che nessuno ci ha mai veramente creduto abbastanza. Tutti si sono arresi a questo bipolarismo da curve ultrà che sta distruggendo quel che rimane della politica italiana».

Lei parla di un percorso dal basso, di una leadership aperta e contendibile. C’è una diffusa questione di democrazia interna tra tutti i partiti?
«I partiti della Seconda Repubblica sono tutti partiti personali. Fa eccezione il Pd, che somiglia però più ad una confederazione di partiti personali. C’è chi dice che è una deriva inevitabile. Io non mi rassegnerò mai. Un progetto politico è fatto da quattro cose: leadership, classe dirigente, idea di società e organizzazione. Se te ne manca anche solo una, non hai un progetto politico ma un’altra cosa. È un illuso chi pensa di tornare ai partiti pesanti del Novecento, perché ad essere cambiata non è solo la politica ma la società italiana. Ma mi rifiuto di pensare che l’unica alternativa siano i partiti fan club».

Elezioni alle porte in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria. Voi correrete con vostre liste?
«No, ci mancherebbe. Siamo un’associazione, e dobbiamo ancora eleggere le cariche nazionali e locali. E in secondo luogo, per un anno almeno bisogna lavorare a testa bassa, maniche di camicia arrotolate e con scarpe comode, senza pensare a elezioni, ruoli, futuri incarichi ecc. Solo seminando per bene si riuscirà a raccogliere un consenso che non sia frutto solo della moda del momento».

Lei onorevole Marattin parla spesso di economia, fisco, lavoro. Temi concreti e centrali. Nel suo partito ci sarà un’attenzione più globale sugli altri temi della politica? Ci saranno competenze settoriali, aree di lavoro, organismi territoriali?
«Non sarà il mio partito. Nella mia vita ho finito di militare in partiti personali, anche se qualche matto dovesse pensare che quella persona possa mai essere io. L’associazione Orizzonti Liberali avrà organismi dirigenti che discuteranno e voteranno. Avrà responsabili tematici e filiere territoriali. Protagonismo dei territori e formazione di nuova classe dirigente. E spero che la stessa cosa, se come immagino i compagni di strada concorderanno, sarà per il futuro partito liberaldemocratico».

Referendum, manovra, Dpb. Che voto darebbe al governo Meloni? E a Giorgetti?
«Il Piano Strutturale di Bilancio sembra scritto da funzionari olandesi del Fondo Monetario Internazionale. È persino più austero della traiettoria che ci aveva dato a giugno la Commissione europea. Parla di contenere la spesa e di fare riforme strutturali. Un sogno! Resta da capire come faranno a realizzarlo, visto che hanno preso i voti dicendo esattamente l’opposto, e tre quarti della loro classe dirigente considera queste cose come gli sporchi dettami della tecnocrazia internazionale. Sarà sempre così, finché la politica in Italia non tornerà ad essere una cosa seria. Detto ciò, se la Legge di Bilancio riuscirà a rendere strutturale riduzione del cuneo e accorpamento aliquote Irpef (e ad evitare altre sciocchezze come il bonus Natale di 100 euro) secondo me avrà già fatto il suo compito».

Cafiero de Raho deve rimanere a capo dell’Antimafia, dati i contatti che aveva avuto con alcuni dei protagonisti dello scandalo dossieraggio-Striano?
«Il presidente della Commissione Antimafia è Chiara Colosimo, de Raho è un componente. Curioso quanto sta accadendo, eh? Del resto non stiamo inventando nulla, lo diceva Nenni decenni fa: “Gareggiando a fare i puri, c’è sempre qualcuno più puro di te che ti epura”».

Sull’Ucraina gli europarlamentari italiani non hanno brillato per coraggio. Lei come avrebbe votato sulle armi a Zelensky e sulla possibilità di usarle anche sul territorio russo?
«Sarebbe stato uno dei voti più convinti della mia vita. Con l’Ucraina senza se e senza ma. Pensare che un aggredito possa difendersi ma solo con un braccio legato dietro la schiena la dice lunga su cosa questi signori pensino sia davvero il diritto internazionale e la difesa dei più deboli».

Siamo a pochi giorni dal primo anniversario del 7 ottobre. Qual è la sua posizione nei confronti di Israele? La preoccupano i rigurgiti di antisemitismo che vediamo sempre più spesso anche in Italia?
«Mi preoccupa, è un cancro che l’umanità non ha mai estirpato del tutto. Ricordiamoci però che si possono criticare le decisioni del governo di Israele senza che ciò significhi automaticamente essere antisemita. In ogni caso, io non ho questo problema: ad ostacolare la nascita di uno Stato palestinese, e quindi della pace in quella tormentata regione, sono proprio le azioni criminali di Hamas ed Hezbollah. Che non sono formazioni politiche che sostengono legittime posizioni, ma gruppi terroristici che hanno come unico obiettivo la cancellazione dello Stato d’Israele e lo sterminio del suo popolo. La soluzione si avrà solo quando si affermerà una leadership palestinese come quella di Nelson Mandela in Sudafrica, e quando tra Arabia Saudita e Israele si compirà il processo di reciproco riconoscimento iniziato a fatica in questi anni. E che sarebbe probabilmente andato avanti senza il criminale atto del 7 ottobre».

Il voto austriaco conferma che spira un vento di estrema destra sull’Europa. Come si possono togliere argomenti a quelle destre?
«Quelle destre non hanno argomenti, ma solo slogan populisti che fanno leva sulla rabbia della gente. Così conquistano voti che di destra non sono di certo, ma che trovano in quella proposta uno sfogo della propria frustrazione, creata e alimentata dall’incapacità della politica di gestire le dinamiche globali. Perciò la ricetta non può essere un populismo di segno opposto (né chiamare nazisti quel 30% della popolazione che li vota) ma un lavoro paziente e responsabile di cucitura e di rammendo di un tessuto sociale che dalla globalizzazione in poi – e specialmente negli ultimi 15 anni, caratterizzati da shock globali di dimensioni mai viste – è stato colpevolmente lasciato alla mercè di populisti, sovranisti e cazzari di ogni ordine e grado».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.