In Italia, l’arte è libera, e tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. E la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Queste libertà fondamentali, di cui tutti godiamo, sono sancite dalla nostra Costituzione. In particolare, dagli articoli 21 e 33.  Ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo la quale ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.

Sono tuttavia libertà che comportano anche doveri e responsabilità.  E possono quindi essere sottoposte a formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge. Che, anche per la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, costituiscono misure necessarie, in una società democratica, tra l’altro, anche a protezione della morale, della reputazione o dei diritti altrui. Personalmente non voglio però appellarmi a queste restrizioni, pur previste sia a livello europeo che della nostra Costituzione, per dire ciò che penso della vignetta di Mannelli, pubblicata in testa alla prima pagina del Fatto Quotidiano di venerdì 10 marzo.

Arte di Regime. ALZABANDIERA. I° dell’era maschia”, erano, rispettivamente, l’occhiello, il titolo ed il sommario del disegno di Mannelli: una turgida e possente verga in erezione, su basso ventre villoso con pantaloni slacciati, protesa verso l’alto (anche se, stranamente, verso sinistra e non verso destra) sulla scia di un tricolore luminescente. Non lo faccio, a differenza di diversi amici, e vecchi colleghi, della Guardia di Finanza e di altre Forze Armate e di Polizia, che mi hanno contattato scandalizzati per questa copertina, perché ho troppo rispetto di quelle libertà fondamentali che i nostri nonni e bisnonni ci hanno regalato al prezzo del loro sangue. Pur non immaginando l’abuso che le successive generazioni ne avrebbero fatto.

Non ritengo, come pensano alcuni, che sia utile, e forse nemmeno opportuno, ricorrere ad azioni giudiziarie contro il giornale che l’ha pubblicata. Pur comprendendo e condividendo lo sdegno ed il sentimento di lesione dei propri diritti da parte di molti. Non posso però esimermi dal ricordare tre cose, e dal porgere una raccomandazione, al direttore del Fatto Quotidiano. Quel signor Marco Travaglio che, da tempo, sembra essersi autoproclamato censore della morale e dell’etica nazionale. Oltre che guardiano del diritto penale e, soprattutto, di quello processuale penale. Apparendo incapace di risparmiare a chiunque le sue giornaliere lezioni, da professorino saccente e altezzoso, su come bisogna stare a questo mondo. E soprattutto da che parte bisogna stare. La sua, ovviamente.

La prima cosa che gli voglio ricordare è che il tricolore raffigurato nella vignetta, che il 7 gennaio scorso ha festeggiato il 226° compleanno, come ricordano spesso il Presidente Nazionale, Ufficiale OMRI Tommaso Bove, ed il Delegato ai rapporti Istituzionali, Prefetto Francesco Tagliente, dell’Associazione Nazionale degli Insigniti dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (ANCRI), «è il simbolo primo e ufficiale dell’Italia repubblicana, della nostra patria, della nazione, del popolo e delle libertà conquistate. È il simbolo dei sentimenti più nobili e rappresenta l’unità nella Nazione. È il simbolo che ha accompagnato il cammino del nostro Paese nei momenti luminosi e in quelli bui».

Un simbolo quindi che, come tale, merita rispetto. Da parte di tutti. Perché rappresenta tutti gli italiani. Senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Simbolizzando tutti quei valori di democrazia e di libertà sanciti e racchiusi nella nostra Costituzione. È lo stesso Tricolore che vediamo sventolare tante volte sul podio delle Olimpiadi e di competizioni sportive a livello mondiale, e che tocca le corde più profonde di milioni di italiani.

Non merita pertanto essere svilito con rappresentazioni che – seppure dietro il pretesto della satira politica, che è il sale delle libertà democratiche – risultano offensive per molti. Che non dimenticano mai il sangue versato da tanti italiani per difendere quel tricolore e ciò che rappresenta. Primo simbolo dell’Italia libera e democratica. Ma al direttore del Fatto Quotidiano, forse distratto da altre preoccupazioni, al punto tale da non essersi accorto nemmeno di un refuso da matita blu in prima pagina, nel testo della vignetta (primo, in cifre romane si scrive I, a meno che non si preferisca la cifra araba 1°, ma non certo I°) voglio ricordare una seconda cosa. Forse più importante della prima. E cioè che l’utilizzo del termine “ALZABANDIERA”, quale titolo della vignetta in prima pagina, con utilizzo fallico del tricolore nazionale, per molti può essere oltraggioso.

Perché quella dell’”Alzabandiera”, assieme al giuramento di fedeltà alla Repubblica, è una delle più solenni cerimonie laiche repubblicane. Le Unità di tutte le Forze Armate e delle Forze di Polizia, tutte le mattine, iniziano infatti le attività addestrative e operative con la Cerimonia dell’Alzabandiera. I militari, compresi i Carabinieri e la Guardia di Finanza, ma anche il personale civile della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria, appartenenti a tutte le categorie, si ritrovano sui piazzali delle caserme e sui ponti delle navi e, con le note dell’Inno di Mameli, issano la Bandiera come primo atto della giornata. Sia sul territorio nazionale che all’estero.

A cominciare dai licei militari, dove ragazze e ragazzi ancora adolescenti hanno liberamente scelto di servire in uniforme il proprio Paese, la propria Nazione, la propria Patria. Prima e dopo aver giurato fedeltà alla Repubblica Italiana, e di osservarne la Costituzione e le leggi. La stessa Costituzione e le stesse leggi che permettono a giornali come quello di Travaglio, senza troppi rischi, di esprimere il proprio pensiero ed esercitare le proprie libertà. Libertà a difesa delle quali quegli stessi giovani, e i loro meno giovani colleghi, servitori dello Stato in uniforme, ogni giorno attraverso il rito tradizionale, breve ma intenso che unisce tutti gli uomini e le donne delle nostre Forze Armate e di Polizia, rinnovano l’impegno di servire e rappresentare la Repubblica. Difendendo a qualunque costo, fosse anche quello della propria vita, le libertà di tutti gli italiani. Compresi quelli che, come Travaglio, forse ne abusano un po’ troppo. Dimenticando forse, nonostante le dotte citazioni e lezioni che il professorino torinese si esime raramente di impartire al resto del mondo – che probabilmente considera meno colto e intelligente, oltre che onesto, di lui – un troppo poco ascoltato monito di Platone, che vorrei ricordargli e riporto di seguito:

«Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, (…). In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia». Mi piacerebbe tanto che Marco Travaglio possa dimostrare di avere non solo l’intelligenza, che personalmente non sottovaluto, ma anche il coraggio di avere un po’ di vergogna. Riuscendo persino a scusarsi (errare humanum est) con quanti, anche tra i suoi lettori, si sono sentiti offesi da questa vignetta. Indegna di un giornale che ha pretesa di essere autorevole, e non una volgare brutta copia di un Charlie Hebdo de noantri. Concludo quindi con la raccomandazione.

Signor Marco Travaglio, continui pure a criticare liberamente ogni governo che non le piace. Lo faccia anche con la satira più graffiante. Ne ha il diritto e la libertà. E fa parte del suo ruolo di watchdog, che tutta la stampa dovrebbe svolgere. Nei confronti di tutti. Non solo degli avversari. Anche se non sempre, in Italia, è davvero così. Ma, la prego, non dimentichi il monito di Platone e, soprattutto, non confonda più il sacro col profano. E, se ne avrà la capacità, cerchi di astenersi in futuro dall’accostare un rito laico, ma non per questo meno sacro, come quello dell’Alzabandiera ad immagini scurrili. Non perché il Festival di Sanremo si sia da tempo concluso, ma perché il rosso del nostro tricolore rappresenta il sangue dei nostri Caduti, civili e militari. In tempo di guerra e in tempo di pace. Tutti martiri della lotta contro invasori, terroristi e mafiosi che hanno afflitto il nostro Paese. Ai quali dobbiamo gratitudine per le libertà che ci hanno offerto. Ma anche onore e rispetto.

 

 

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Da sempre Patriota italiano ed europeo. Padre di quattro giovani e nonno di quattro giovanissimi europei. Continuo a battermi perché possano vivere nell’Europa unita dei padri fondatori. Giornalista in età giovanile, poi Ufficiale della Guardia di Finanza e dirigente della Commissione Europea, alternando periodicamente la comunicazione istituzionale all’attività operativa, mi trovo ora nel terzo tempo della mia vita. E voglio viverlo facendo tesoro del pensiero di Mário De Andrade in “Il tempo prezioso delle persone mature”. Soprattutto facendo, dicendo e scrivendo quello che mi piace e quando mi piace. In tutta indipendenza. Giornalismo, attività associative e volontariato sono le mie uniche attività. Almeno per il momento.