Il generale Mario Mori è il vero trionfatore del processo di Palermo. Gli sconfitti sono moltissimi. In primo piano la Procura di Palermo, la procura generale di Palermo, gran parte del giornalismo italiano. Vogliamo fare qualche nome? Non è mai una cosa graziosa fare i nomi, però un po’ di chiarezza serve. Nino Di Matteo, Antonio Ingroia, Roberto Scarpinato, Marco Travaglio, Andrea Purgatori, Sigfrido Ranucci, Michele Santoro. Di alcuni di queste persone sono perfino quasi amico, di altri (non di tutti) ho una certa stima. Però c’è poco da discutere. Alcuni di loro hanno clamorosamente sbagliato, e i loro sbagli sono costati carissimi (anche la vita) a diversa gente rispettabile. Altri si sono approfittati delle balle sulla trattativa per farsi pubblicità e per fare soldi. Difficile smentirmi.

Per prima cosa però vorrei parlare di Mario Mori. Generale dei carabinieri. Da quando sono piccolo ho sempre avuto questo difetto: non amo i carabinieri. Tendo, anzi, a considerarli sbirri. Però la faziosità ha un limite. Mario Mori è un uomo che da giovane ebbe un ruolo decisivo nella sconfitta della lotta armata. Uno può giudicare come vuole i suoi metodi e le sue azioni “di guerra”. Però quella guerra la vinse e raramente ho sentito dire dell’establishment, o nella magistratura, o nei partiti, o nei giornali di ogni colore e tendenza, che fu sbagliato dare la caccia alle Br. Mori è anche uno degli uomini che nella sua maturità lavorò con Falcone e Borsellino e diede guerra alla mafia. È uno dei pochi, tra i viventi, che davvero diede guerra alla mafia e vinse perdipiù molte battaglie.

Spalleggiò Falcone, preparò un dossier (poi gettato alle ortiche da una magistratura cieca) che scopriva gli altari dei rapporti tra Corleonesi e imprese del Nord, catturò Riina e diversi altri capi mafia, creò le condizioni per l’arresto di Provenzano. Voi spesso sentite la Bindi, o Travaglio, o Di Matteo, o quelli di “Libera” o di varie associazioni antimafia, o addirittura Nicola Morra, parlare con molta retorica di lotta alla mafia. Però, tutti costoro, alla mafia non hanno mai torto un capello. Né hanno mai rischiato che qualcuno torcesse un capello a loro. Mario Mori ha rischiato la vita per anni e ha inferto alla mafia colpi micidiali. Infine, da anziano, Mario Mori è stato preso di mira dalla Procura di Palermo, e poi dalla procura generale, e poi da quasi tutti i giornali, ed è stato mandato non so più se quattro o cinque volte a processo sempre con la stessa accusa: quella di aver trattato con le cosche e di aver concesso loro qualcosa.

Qual è il motivo di queste accuse assolutamente infondate? In parte, probabilmente, l’invidia. In parte forse anche il disegno un po’ arzigogolato di arrivare a Berlusconi. In parte più semplicemente una scarsissima abilità professionale. Mori è un grande investigatore. Aveva metodi complessi e seri di investigazione, sperimentati e studiati con professionisti di primissimo ordine: Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino. I Pm che hanno indagato su di lui non avevano la minima idea di come si dovesse svolgere un’indagine, dei trucchi, delle trappole, dei sistemi sofisticati di investigazione. Conoscevano poco e niente della mafia. Avevano, molti di loro, creduto a falsi pentiti, a depistatori. Non avevano strumenti tecnici e intellettuali per misurarsi con un gigante come il piccolo carabiniere d’acciaio venuto dal Nord ma che conosceva la Sicilia assai meglio di loro.

Così è successo che Mario Mori è stato perseguitato. In modo clamoroso, spettacolare. Il più tenace e intelligente combattente antimafia è stato processato con l’accusa di essere amico dei mafiosi. Il servitore incorruttibile dello Stato è stato accusato di attentato allo Stato. Per anni e anni. Trascinato nel fango da decine di giornalisti che non avevano capito un fico secco, indicato come il bersaglio da colpire per i Giusti (e guardate che sono migliaia e migliaia i farabutti che si impancano a giusti). E solo dopo molti anni, l’altra sera, è stato definitivamente assolto.
Ora speriamo che la Procura generale abbia il pudore di non insistere e di non ricorrere in Cassazione. Anche per evitare un nuovo schiaffo in faccia.

Sono ormai almeno quattro le Corti che hanno stabilito che la trattativa non c’è mai stata: hanno assolto Mannino, Mancino, Dell’Utri, Mori, Subranni, De Donno e svariati altri innocenti. Sono milioni gli euro che son stati buttati via per questa che è l’inchiesta più fantasiosa della storia della Repubblica: è ora di mettere la parola fine. Anche per rispetto verso le vittime della mafia. A partire da Falcone e Borsellino, dei quali Mori è stato il braccio destro. E a questo punto noi del Riformista ci rivolgiamo a Mattarella, un presidente che spesso abbiamo criticato e spesso applaudito. Presidente, faccia un gesto che riscatti lo Stato, il cui prestigio è macchiato dal processo ingiusto a Mori. Nomini Mori senatore a vita. Dimostri che lo Stato sa essere equo e riconoscente con le persone che allo Stato hanno dedicato la propria vita. Mori se lo merita questo riconoscimento.

Dell’Utri.
Marcello Dell’Utri ha ottenuto una assoluzione piena. Pensate che il comitato di redazione del Corriere della Sera, appena qualche giorno fa, si è indignato e ha protestato con il direttore perché non aveva impedito la pubblicazione di un annuncio di auguri a Dell’Utri per i suoi ottant’anni. Il Cdr del Corriere ritiene che Dell’Utri sia una persona sub-umana che non ha diritto che i suoi amici gli facciano gli auguri. Più che un sindacato sembra una sezione dell’Inquisizione. Beh, la Corte ha detto che Dell’Utri è totalmente innocente. Del-tut-to. Il Comitato di redazione del Corriere invierà al suo direttore una lettera di ritrattazione della lettera precedente?

Sia chiaro: l’ex senatore Dell’Utri è stato vittima anche lui di un linciaggio. Anni alla gogna. E poi cinque anni in galera accusato di un reato che non esiste. “Concorso esterno in associazione mafiosa”. Una specie di insulto alla lingua italiana e alla logica formale. In particolare cosa gli imputano? Di avere accettato, negli anni ottanta, un ricatto della mafia. Spiego meglio: lo accusano di essere stato vittima della mafia. E quindi mafioso? Le vie della logica -dicevamo – sono infinite. e abbastanza aggrovigliate. Infatti, non trovando nessun reato nel comportamento di Dell’Utri, gli hanno appioppato quel reato lì, scombiccheratissimo: concorso esterno in associazione. Roba da psichiatri. La Corte europea però ha stabilito che questo reato scombiccherato può anche essere preso in considerazione, ma comunque non prima del 1992. I fatti attribuiti a Dell’Utri sono degli anni ottanta. Difficilmente Dell’Utri sarebbe stato condannato in modo così irragionevole se non fosse stato imputato anche per la trattativa. Ditemi quello che vi pare, ma a me sembra che meriti delle scuse. dai giudici? Direi di sì, ma soprattutto da un discreto numero di giornalisti.

Travaglio.
Il povero Marco, certo, ha preso una tranvata. Non se l’aspettava. Ieri, sul suo giornale, ha dato la notizia della clamorosa assoluzione di tutti, che seppellisce le sue tesi, i suoi spettacoli teatrali, gli show in televisione, i libri, centinaia di articoli e titoli e calunnie e calunnie e calunnie, inventandosi una tesi davvero originale: i giudici hanno assolto Mori e dunque mi hanno dato ragione. la trattativa c’è stata. Che è un po’ come se l’allenatore della Sampdoria, l’altra sera, dopo aver perso quattro a zero col Napoli, avesse dichiarato: la partita ha dimostrato che la Sampdoria è molto più forte del Napoli.

Travaglio sostiene che la Corte ha stabilito che la trattativa c’è stata visto che ha assolto Mori perché “il fatto non costituisce reato”. Dice Travaglio: ah, vedi che allora il fatto c’era! Già, Marco, ma il fatto non era la trattativa. Ti spiego bene (magari chiedi anche qualche consiglio ai tuoi editorialisti, che la faccenda la conoscono bene, per esempio Scarpinato…): Il fatto non era la trattativa. Erano le indagini attraverso le quali Mori e i carabinieri cercarono (con successo) di catturare Totò Riina. In questo lavoro presero anche contatto con l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, che era organico alla mafia. E con lui trattarono l’arresto di Riina. È chiaro? Mori non trattò con Riina, Mori arrestò Riina. Sono due cose molto diverse. Arrestare Riina non è reato. E fronteggiò le minacce che, armi e dinamite alla mano, la mafia rivolgeva contro lo Stato. Non è difficilissimo da capire.

Anche se i Pm e i giudici di primo grado non l’hanno capito. Lo avevano capito però moltissimi altri tribunali che ripetutamente avevano assolto Mannino e Mori spiegando chiaro chiaro che la trattativa non c’era stata. E anche Dell’Utri non c’entrava niente. Se non altro per la semplice ragione che il governo Berlusconi non concesse nulla di nulla alla mafia, e anzi inasprì il 41 bis. Tu scrivi che Berlusconi fece tre concessioni alla mafia con il decreto Biondi (che poi non fu mai varato). Marco: non è vero. Te l’avrà raccontato qualche sostituto poco informato, ma è una notizia del tutto falsa come quella che l’ivermectina cura il covid. Il decreto Biondi non concedeva niente alla mafia.

 

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.