Il 33enne cooperante napoletano morto in Colombia
Mario Paciolla, l’appello dei genitori: “Amici e colleghi non parlano, i loro sorrisi sembrano falsi”
Chi sa, amici e colleghi, parli: è l’appello di Anna e Pino, i genitori di Mario Paciolla, il 33enne cooperante italiano trovato morto, impiccato a un lenzuolo, il 15 luglio 2020 a San Vicente del Caguan, in Colombia. Un caso irrisolto, la versione del suicidio che desta numerose perplessità, una richiesta di Giustizia ancora non esaudita a 14 mesi dalla tragedia. “Molti degli amici di Mario ci sono stati e ci restano vicini, persone che lo hanno amato e che con lui hanno collaborato nelle molteplici attività che svolgeva. Ma oggi il nostro appello è rivolto a chi sa e non dice”, si legge nell’appello dei genitori pubblicato su La Repubblica.
“Non possiamo credere che, soprattutto chi ha vissuto con Mario gli ultimi giorni della sua esistenza, non sapesse o almeno non intuisse i suoi stati d’animo, i turbamenti e le inquietudini che lo agitavano, cosa scuoteva il suo rigore morale. Cosa aveva visto o sentito Mario in quelle ultime settimane di così grave da indignarlo e preoccuparlo così profondamente? Chi lo ha tradito?”. Un appello dai toni anche molto duri: “Noi crediamo, di più, siamo certi, che le persone che lo frequentavano e in particolare chi lavorava nella sua squadra sapesse e sa. I suoi amici, che vediamo sorridenti con lui nelle foto scattate solo qualche mese prima della sua morte, sanno molte cose ma si guardano bene dal parlare. E quel sorriso oggi ci sembra falso e ci fa male. Mario non merita falsità, indifferenza, codardia”.
Anna e Pino si rivolgono a “chi sorrideva con lui nelle fotografie: parlate, non tradite ancora Mario. Non soffocate la vostra coscienza, non siate pavidi. D’altronde come potete ancora fidarvi di un’Organizzazione che non riesce a proteggere l’incolumità dei suoi lavoratori?”. I genitori chiedono di ricostruire le ultime giornate, le ultime ore di Mario, con le dovute cautele, in assoluta riservatezza tramite gli avvocati – Alessandra Ballerini ed Emanuela Motta.
Dal ritrovamento del corpo del 33enne napoletano sono passati 14 mesi di depistaggi, ricostruzioni contraddittorie, di attese e lunghi silenzi. L’inchiesta non ha portato a grandi passi avanti: le autorità colombiane hanno subito dato per certo il suicidio, versione accreditata anche dalle Nazioni Unite. La Procura di Roma ha intanto delegato ai carabinieri del Ros un fascicolo che non ha ancora escluso l’ipotesi dell’omicidio. Dopo l’autopsia del medico legale Vittorio Fineschi si attendono le risposte dalla Colomba ad alcuni interrogativi scaturiti dall’esame.
Certo è che Paciolla aveva paura, e aveva anticipato il rientro in Italia. Voleva lasciare la missione per il reinserimento di ex guerriglieri delle Farc per la quale lavorava. Il 33enne sarebbe stato esposto al pericolo per un suo dossier su un bombardamento dell’esercito in un accampamento delle Farc che aveva causato la morte anche di sette minori. E una crisi nel governo colombiano sfociata nelle dimissioni del ministro della Giustizia Gullermo Botero. A suscitare sospetti il ruolo di Christian Leonardo Thompson, nominato intanto direttore nazionale del Centro di Operazioni di Sicurezza, all’interno del Dipartimento di Salvaguardia e Sicurezza della missione Onu, e il suo ruolo sulla violazione della scena del crimine.
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