È tornato finalmente a casa Mario Botti, 76 anni, da 11 mesi ricoverato a causa del coronavirus. In ospedale lo avevano soprannominato Highlander. Imprenditore, socio della Intereco di Fiorano, nel modenese, attiva nello smaltimento dei rifiuti. Prima del contagio alle 6:00 era in azienda, 8.500 metri di capannone che girava in bicicletta. Aveva 37 dipendenti: ha dovuto vendere marchio e commerciale. “State attenti e tenete la mascherina”, dice in una sorta di appello in un servizio del Tg1.

Il calvario è cominciato il 18 marzo del 2020, quando la figlia si è resa conto che aveva la febbre. La moglie Nadia era già ricoverata da due giorni. Botti è stato ricoverato il 19 marzo, quando facevano il giro del mondo le immagini del convoglio di mezzi militari che trasportava le troppe bare con i troppi morti che i cimiteri di Bergamo non potevano accogliere.

Dopo l’arrivo in ospedale le condizioni sono peggiorate. “Ho il vuoto totale. Avevo bisogno di tanto ossigeno: la saturazione era scesa a venti. Poi mi hanno messo un casco che io chiamo lo scafandro. Poi, però, da quel momento non ho più contezza di nulla se non dell’arrivo a Gaiato. È come se non fossi esistito per tutto quel tempo. So che avevo una forte fibrosi ai polmoni, il sistema immunitario azzerato, emorragie gastriche e danni muscolari ma me lo hanno detto gli altri”, ha raccontato a Il Resto del Carlino.

Un ricovero lungo, diversi i momenti nei quali si era anche pensato che l’uomo non ce l’avrebbe fatta. Botti è stato in quattro ospedali diversi, per 83 giorni in terapia intensiva, 25 sedato totalmente. Ha ritrovato la forza da una videochiamata con tutta la famiglia. Così l’hanno cominciato a chiamare Higlander. Prima di tornare a casa ha dovuto affrontare anche un periodo di riabilitazione a Baggiovara. “L’ultima cosa che mi rimane è quella di camminare – ha aggiunto al Tg1 – non voglio camminare come prima, ma voglio che il covid mi dia indietro qualcosa: mi ha preso tutto”.

Vito Califano

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