La guerra nella Striscia di Gaza ha un nuovo epicentro. Non più solo Rafah, Khan Younis, la città di Gaza, ma Jabalia, nel nord dell’exclave palestinese. Le forze israeliane considerano il campo profughi un obiettivo essenziale dell’operazione militare contro Hamas. Dall’inizio del conflitto, l’Idf ha puntato sulla roccaforte palestinese. È entrata e uscita dal campo profughi più volte con l’idea di avere sconfitto i rimanenti “battaglioni” di Hamas. Ma le truppe dello Stato ebraico non hanno mai davvero risolto il problema della presenza dei miliziani, che da mesi hanno fatto capire di essere pronti a ricostituirsi ovunque i militari nemici si ritirano. È successo già in altre città della Striscia, costringendo le Israel defense forces a riprendere le operazioni anche in aree considerate ormai “pulite”. E ora, per Jabalia, si ripropone lo stesso schema, con i combattenti di Hamas che resistono e centinaia di migliaia di abitanti in città o costretti a evacuare in un territorio che è un campo di battaglia.

Il pericolo, per i civili, è enorme. In questi giorni, l’Idf ha fatto evacuare decine di migliaia di persone. Ma nel campo ne sono rimaste moltissime, che ora sono intrappolate negli scontri tra le forze israeliane e le milizie. Ieri, l’agenzia di stampa palestinese Wafa ha fornito un bilancio tragico dell’ultimo bombardamento israeliano su Jabalia: 150 tra morti e feriti, compresi donne e bambini. Un numero drammatico che conferma come la guerra nella zona sia tutto meno che ridotta nell’intensità e nei rischi per la popolazione. L’Idf ha anche reso noto che tre soldati sono stati uccisi in una battaglia nel campo profughi. Le Brigate Qassam, l’ala militare di Hamas, ieri hanno attaccato un convoglio israeliano proprio a est di Jabalia. E secondo fonti locali, l’esercito dello Stato ebraico sarebbe entrato anche nell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia, sempre nel nord della Striscia, visto che spesso Hamas ha usato gli edifici civili come rifugio per i miliziani o come nascondigli per le armi. I raid dell’Idf sono avvenuti anche in altre parti della Striscia, in particolare a Khan Younis, dove a detta di Al Jazeera i morti sono stati 38. E secondo fonti mediche, 14 di loro erano minorenni e sarebbero morti soffocati dal fumo delle bombe.

La fiammata del conflitto nella Striscia dimostra che dopo la morte di Yahya Sinwar, Hamas continua a combattere, anche se nella visita di Antony Blinken in Qatar, l’organizzazione palestinese avrebbe inviato dei primi segnali di apertura per una tregua. Che qualcosa si muova sul fronte dei negoziati lo si è visto anche dall’incontro tra il capo del Mossad, David Barnea, e il nuovo vertice dell’intelligence egiziana, Hassan Mahmoud Rashad. Gli Stati Uniti premono, preoccupati sia per la situazione umanitaria a Gaza sia perché non riescono a comprendere quale sia il piano a lungo termine di Benjamin Netanyahu. L’amministrazione Biden, che si avvicina al voto per la Casa Bianca con una guerra irrisolta in Medio Oriente, vorrebbe garanzie da Israele sul dopoguerra, così come lo vorrebbero i partner arabi. Durante il viaggio del segretario di Stato, i funzionari Usa hanno anche chiesto ai colleghi israeliani di prendere pubblicamente le distanze dal cosiddetto “piano del generale”, che prevede l’assedio totale al nord della Striscia. Ma il fatto che Netanyahu abbia tentennato di fronte a questa richiesta preoccupa il governo di Washington, che teme che l’ultradestra israeliana spinga per soluzione estreme.

Joe Biden è preoccupato. Anche perché sul fronte nord, quello in Libano, la situazione non sembra andare nella direzione voluta dalla Casa Bianca. Ad Hasbaya, circa 50 chilometri a sud di Beirut, un bombardamento dell’Idf ha ucciso tre giornalisti e ne ha feriti altri due. I morti lavoravano per l’emittente filoiraniana Al-Mayadeen e per quella legata a Hezbollah, Al-Manar. E per il primo ministro libanese Najib Mikati l’attacco “deliberato” di Israele è stato effettuato per “terrorizzare i media per coprire crimini e distruzioni”. Nelle ultime 48 ore, sono cinque i soldati israeliani uccisi negli scontri con Hezbollah nel sud del Libano, segno che l’offensiva è molto complessa. Ieri Unifil ha confermato che martedì le forze israeliane hanno di nuovo attaccato una postazione dei caschi blu vicino a Dhayra.

I raid israeliani si sono ampliati anche ai valichi di frontiera con la Siria. E Blinken, che ha incontrato alcuni rappresentati arabi a Londra (tra cui il premier libanese), ha ribadito “l’urgenza di giungere a una risoluzione diplomatica e alla piena attuazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. La situazione appare ancora complessa, con i leader europei che hanno lanciato l’allarme sul pericolo del collasso del Libano. E ora, si attende anche la risposta israeliana all’Iran, dominus delle milizie in Medio Oriente e vero duellante di Israele in questa guerra su più fronti. Teheran, come ha rivelato il New York Times, si prepara a ogni scenario e ogni tipo di risposta. E da queste mosse passerà anche il destino di Gaza e di Beirut.