Quattro anni fa – dopo un volontario esilio durato una legislatura –  Massimo D’Alema si ripresentò davanti ai suoi elettori pugliesi. Non finì bene. Tre mesi fa non si è visto né sentito in campagna elettorale e nessuno sa per chi abbia votato. Da tempo la sua attività professionale è quella di mediatore d’affari e tra i suoi cimenti c’è quello di interloquire con le autorità pubbliche: non più per guidarle, ma per convincerle sui vantaggi di una transazione commerciale. Tutti buoni motivi per spingere Massimo D’Alema verso un certo riserbo. Un atteggiamento che, a maggior ragione, dovrebbero condividere i media. Non solo perché le mediazioni nei quali è impegnato D’Alema non riguardano le cerase pugliesi, ma perché quando si cambia mestiere i media farebbero bene a ricordare il cambio di status. E invece fanno finta di nulla.

Altrove non è così. Come sa l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder che, da quando venne assunto dalla russa Gazprom, è stato ignorato dai media tedeschi. Nei giorni scorsi, ricercato da tv e giornali, D’Alema ha insistito sulla leadership di Giuseppe Conte e su una politica «unitaria» tra Pd e Cinque stelle. Un giorno, forse, capiremo le ragioni della fascinazione esercitata da un avvocato d’affari che si è talmente vantato dei Decreti Sicurezza sui migranti da lasciarsi immortalare al fianco di Salvini, con tanto di cartello. Come un uomo sandwich. Forse D’Alema si prepara a confluire in una nuova forza, una Costituente tra Cinque stelle ed ex comunisti?  Nel frattempo c’è da chiedersi chi sia oggi Massimo D’Alema, in segno di rispetto verso uno dei personaggi politici più rilevanti della Seconda Repubblica, che ha contribuito ad un passaggio storico: il primo governo progressista del dopoguerra, quello del 1996.

Dopo le elezioni del 25 settembre, qualcuno ha ipotizzato che l’ex premier abbia votato per il Movimento Cinque stelle. Un’ illazione alla quale lui ha reagito in modo disordinato: «Una campagna vergognosa». Per la verità di una campagna orchestrata, nessuno si è accorto. E poi imbastita da chi? Suvvia! E però D’Alema non ha detto a chi abbia dato il suo voto. Se fosse vero, come lascia intendere che non ha votato Cinque stelle, verrebbe da chiedergli: caro Massimo sei stato aderente alle indicazioni del tuo “partito”, Articolo Uno? Ma davvero hai votato per il Pd del detestatissimo Letta? E allora perché non lo dici?

Resterà un mistero buffo, anche alla luce dell’affermazione più sbalorditiva di tutte: «Questa campagna è una inaccettabile violazione di un principio della democrazia: la segretezza del voto». La segretezza del voto? Ma davvero? Un personaggio pubblico che si batte per far prevalere le proprie idee, dovrebbe essere orgoglioso del proprio voto, ansioso di farlo conoscere a tutti. Ma la veemente iperbole per proteggere la segretezza del suo pensiero ci dice che anche per lui – come hanno capito da tempo tutti i leader della sua generazione – è arrivato il tempo di una serena quaresima.