La decisione
Massimo Giletti ‘condiziona’ il Dap: ritirata la circolare anti-Covid
Mentre il plenum del Csm boccia il decreto con cui il ministro Bonafede voleva far “rivalutare” (leggi azzoppare) le scarcerazioni dei detenuti malati, la circolare che doveva accendere un faro sullo scandalo di carceri piene di malati e anziani non c’è più. Non perché non ci sia più il virus (purtroppo non è così) ma perché la nuova dirigenza del Dap (Petralia-Tartaglia) con tocco di bacchetta magica deve aver guarito i malati e ringiovanito gli anziani. E ritirato quella circolare del 21 marzo che “odorava di mafia” e su cui si sono esercitate le forche nell’aula della Commissione Bicamerale Antimafia così come in quella della trasmissione Non è l’arena (che nella prossima stagione potrebbe essere ribattezzata “Non è il Dap”).
Il 21 marzo è una data sulla bocca di tutti. Scandaloso 21 marzo. Il giorno della scandalosa circolare del Dap. Ma se chiedete in giro che cosa è successo in Italia lo scorso 21 marzo, correranno tutti a guardare i dati della Protezione civile: i malati dal contagio di Coronavirus sono 52.578 e 4.825 sono già i morti e gli ospedali scoppiano e i reparti di terapia intensiva non riescono più a contenere le persone in condizioni gravissime. Erano i giorni in cui non si usciva di casa e in cui c’era stata già una grande corsa a chiudere all’esterno strutture come le case di riposo e le carceri, con il blocco delle visite settimanali dei parenti del detenuti e la sospensione degli ingressi dei volontari. Era normale che la dirigenza del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero di Giustizia si preoccupasse del pericolo di contagio negli istituti di pena sovraffollati, dove è impossibile mantenere le distanze di sicurezza tra detenuti? È normale. Quel che è invece meno ovvio, e anzi molto problematico, è il fatto che le nostre prigioni siano piene di persone che hanno più di settant’anni (e che potrebbero scontare la pena a casa, secondo la legge) e di altre gravemente malate (ci sono persino detenuti paraplegici) che al chiuso di una cella non possono che peggiorare.
È così che, con l’arrivo del Covid-19, magistrati che hanno scelto di andare a fare i “carcerieri” al Dap, e che, salvo qualche rara eccezione della storia passata, non hanno mai mostrato particolare sensibilità nei confronti della salute dei detenuti, hanno diffuso la famosa circolare del 21 marzo. Non hanno molta importanza i loro nomi, quel che conta è il contenuto del testo, nella sua banalità: segnalateci, dicevano i dirigenti del Dap ai provveditori regionali, ogni caso di detenuti malati o anziani. Punto. Segnalateci. Se nella sostanza il contagio non si è trasmesso nelle carceri italiane, sicuramente il merito va attribuito a chi in quei giorni ha dato la possibilità di far scontare al domicilio gli ultimi mesi di pena a qualche migliaio di detenuti e alle diverse sentenze dei tribunali e giudici di sorveglianza che hanno applicato il principio del differimento della pena.
Quei giudici e quei tribunali hanno dato attenzione al corpo delle persone prima che alla loro reputazione. Se erano malati, se erano anziani, sono andati a scontare la pena, provvisoriamente, a casa. E da lì nessuno è scappato. Ma ha destato scandalo il fatto che tra loro ci fossero detenuti al carcere “impermeabile” (41 bis) o in regime di alta sicurezza. Il terremoto ha portato a diverse dimissioni ai vertici del Dap, quasi l’amministrazione penitenziaria fosse caduta improvvisamente preda di Cosa Nostra. L’aula di “Non è l’arena” è diventata “Non è il Dap”.
Massimo Gilletti si è vantato, con qualche ragione, di aver fatto dimettere Francesco Basentini, ricordando che, quando al Dap c’erano “ uomini veri” (testuale) sia Totò Riina che Bernardo Provenzano, benché moribondi e privi di alcuna capacità cognitiva, erano rimasti in ceppi. I loro corpi erano rimasti prigionieri, per essere precisi, la loro mente essendo ormai altrove. La compagnia di giro del partitino di “Non è il Dap” comprende personaggi di prestigio, che non si sono tirati indietro a dire la loro nell’ultima puntata, rompendo il proverbiale riserbo. Il consigliere Nino Di Matteo: le scarcerazioni sono un segnale di impunità e di speranza anche per i mafiosi, un segnale devastante che avrà effetti pericolosi per il futuro. Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che per l’occasione rispolvera la toga e coglie l’occasione per piccole vendette, gli fa eco: sento puzza di ‘ndrangheta, in questa vicenda.
Ormai i magistrati si danno dei mafiosi l’uno con l’altro, senza che nessun loro collega apra mai un fascicolo, senza che il Csm abbia mai una curiosità di sentire quanto meno che cosa significhino tutte queste ingiurie sparate in diretta tv. Poteva mancare l’ex pubblico ministero Ingroia? Non poteva mancare. Lui ha già svolto indagini e accertato che è stato già dato un «segnale fortissimo sul territorio». Insomma, il succo di tutto è che al vertice del Dap c’erano individui (magistrati) che non erano uomini veri ed erano collusi con ambienti mafiosi, tanto da fare “scarcerare” una serie di capibastone, evidentemente amici loro. Ma non bastano le dimissioni di Francesco Basentini e Giulio Romano. Il colpo grosso è arrivare alla defenestrazione del ministro Bonafede. Di Matteo ci ha già provato con il “mistero” della sua mancata nomina. Ha detto più volte che riferirà nelle sedi istituzionali. Che cosa di meglio della Bicamerale Antimafia, dove sarà sentito oggi?
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