Egregio Dott. Mastroeni,
quanto da lei dichiarato nell’intervista al Riformista non desta invero stupore nell’Avvocatura Italiana, ma fornisce l’occasione per poter interloquire sul punto. Certi meccanismi erano intuibili, mancavano solo le prove dirette che però, ora, sono a disposizione di tutti.
Ad onor del vero pensiamo che certe valutazioni sarebbe stato più utile esternarle molto tempo prima ed anche in ben altre sedi. Probabilmente lo avrà già fatto in ogni caso apprezziamo il suo coraggio nell’esternarle oggi. Anche se, come dicevamo, i contenuti della sua intervista, purtroppo, non destano in noi meraviglia non possiamo, tuttavia, non valutare la gravità di certe sue qualificate affermazioni quali: «…. E il risiko delle correnti ci ha trasformato in una associazione a delinquere vera e propria», «…quando si entra in magistratura…. è così che si entra nelle correnti: si appartiene a una corrente prima ancora di averlo capito…», «…ma tutto il sistema funzionava così, e alle sue cene c’erano tutte le correnti…In due consiliature non trova nessuno che non fosse iscritto alle correnti», «…non esistono elenchi depositati.
E però …. sarebbe giusto che l’appartenenza alle correnti fosse pubblica, dichiarata, scritta…», «…se in una cittadina il sindaco dà un incarico a un imbianchino e poi si scopre che quell’imbianchino è in una associazione letteraria con lui, noi magistrati lo attacchiamo e diciamo che ha privilegiato un interesse privato. I colleghi amici nelle correnti, invece, si possono votare tra loro. Non c’è l’obbligo di astensione. Ora molti dicono che non è dignitoso. Io vado oltre: dico che non può essere legale», «…oggi un po’ tutti dicono che quelli che riguardano Palamara e il Csm “sono fatti senza rilevanza penale”. Io una certa esperienza nel penale ce l’ho, e ho delle riserve serie… Palamara e tutti quelli che si riunivano, come è stato detto, “in sedi non opportune”, per decidere ad esempio chi promuovere e chi tenere al palo, commettevano un reato in associazione a delinquere. Hanno sovvertito le regole avendo il potere e i mezzi per farlo».
Siamo convinti che certe esecrabili condotte abbiano coinvolto una piccola – potente – parte della Magistratura ma non riusciamo, però, a comprendere il perché di un diffuso silenzio negli anni e, soprattutto, ancora oggi che c’è ormai ben poco da tenere riservato.
Siamo legittimamente preoccupati perché, delle due l’una, o questo sistema stava, e sta ancora, bene a tutti/tanti, oppure chi vorrebbe e dovrebbe parlare, intervenire, denunziare è timoroso, intimidito, impaurito. Non si comprenderebbero altrimenti le ragioni di un inquietante silenzio. Avvocatura e Magistratura dovrebbero, invece, prendere le mosse da questo terremoto e collaborare – attuando (anche) insieme un reale e convincente cambio di passo – per ridare ai cittadini quella fiducia nella Giustizia ormai andata completamente smarrita. Per raggiungere questo risultato non si potrà, però, prescindere da una revisione critica ed una forte presa di distanze della Magistratura da ciò che, anche nel nostro distretto, è accaduto.
Noi lo dobbiamo a noi stessi ed alla nostra Toga, anzitutto, ma anche ai nostri assistiti, ai cittadini che, legittimamente, nutrono forti perplessità sugli esiti di certe inchieste e sull’idoneità e/o imparzialità di chi deve giudicarli. I Magistrati lo devono alla dignità della loro professione, alla loro onorabilità ed alla forza della loro indipendenza. Insieme dovremmo compiere passi concreti per preservare la Giurisdizione e contribuire alla piena realizzazione dei valori costituzionali, in particolare quelli dettati dall’art. 111. In questa ottica il nostro primo atto, appena insediati, è stato quello di scrivere ad Anm e chiedere ai suoi rappresentanti locali di partecipare ad un tavolo di confronto, leale e costruttivo, su questi temi. Ci auguriamo che il nostro invito venga accolto e che, insieme, potremo dare voce al generale e diffuso dissenso nei confronti di quei comportamenti che lei ha definito in maniera inequivoca. Siamo ad un punto di svolta e di ciò bisogna che si prenda atto prima che, con effetti devastanti per tutti, venga travolta l’intera giurisdizione.