Carcere di Santa Maria Capua Vetere, carcere della mattanza. Fu tortura vera e propria ma c’è chi ancora parla di protocolli. Tra le scale e le celle il 6 aprile del 2020 andò in scena un pestaggio violentissimo da parte degli agenti ai danni dei detenuti, i magistrati scriveranno: tortura. Ci sono altri 41 indagati tra la polizia penitenziaria.

Una violenza inaudita raccontata dai video delle telecamere di sorveglianza, una crudeltà degna del peggiore film sulla prigione di Alcatraz. E invece no, siamo in Italia, siamo a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, ed è tutto vero. I 41 nuovi indagati sono poliziotti intervenuti ma finora mai identificati in quanto muniti di caschi protettivi e mascherine anti-Covid. Erano almeno un centinaio i pubblici ufficiali che mancavano all’appello tra i tanti ripresi dalle telecamere interne del carcere mentre pestavano i detenuti a mani nude o servendosi di manganelli, facendoli passare anche in un “corridoio” di agenti pronti a sferrare colpi.

La Procura di Santa Maria Capua Vetere (procuratore aggiunto Alessandro Milita, e i sostituti procuratori Alessandra Pinto e Daniela Pannone) ne ha identificati con difficoltà per ora 41, tutti indagati per atti di tortura, e ha così chiesto e ottenuto dal Gip la proroga delle indagini per poter identificarne altri. Pare infatti che al pestaggio presero parte in tutto circa 250 agenti. Dei 41 poliziotti penitenziari indagati, 27 sono attualmente in servizio nel carcere napoletano di Secondigliano, quattro ad Avellino e dieci a Santa Maria Capua Vetere. Si avvicina intanto la data di inizio dibattimento per i 105 tra agenti, funzionari del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) e dell’azienda sanitaria locale, accusati a vario titolo di responsabilità in ordine alle violenze ai danni dei detenuti avvenute nel carcere sammaritano.

Il processo partirà infatti il 7 novembre prossimo davanti ai giudici togati e popolari della Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, mentre nei prossimi giorni ci sarà davanti al giudice per l’udienza preliminare, Pasquale D’Angelo, il processo con rito abbreviato per tre agenti che hanno deciso di non andare al dibattimento. Le accuse sono gravissime: abuso di autorità, tortura, lesioni e falso in atto pubblico. Per 12 di loro c’è anche l’omicidio colposo per la morte di un detenuto (il 28enne algerino Lamine Hakimi) avvenuta circa un mese dopo i fatti. E sono ottanta i detenuti che hanno subito calci, pugni, manganellate e umiliazioni e che si sono costituiti parte civile nel processo contro gli agenti. 292, invece, i detenuti che subirono violenze quella sera.

Una pagina tristissima delle prigioni italiane, un episodio gravissimo che ancora una volta sottolinea la non idoneità delle carceri ad accogliere essere umani e a rispettarne i diritti e la dignità. Saranno i magistrati a fare chiarezza e a stabilire le colpe, quel che è certo è che le immagini parlano e raccontano di un massacro. Nel frattempo, dal carcere casertano si dicono tranquilli e fiduciosi. «Ribadiamo la piena fiducia nell’operato della magistratura inquirente, non senza ricordare però che a pagare per quanto accaduto quel giorno, non sono solo gli agenti tutt’oggi sospesi, ma anche le loro famiglie, mogli e figli, che dall’estate dello scorsa versano in gravi difficoltà in quanto senza sostegno e per un tempo indefinito viste le lungaggini dei processi, il cui esito non sarà così scontato come si vuole far credere». Così, in una nota, il segretario regionale dell’Uspp Ciro Auricchio.

Noi vorremmo, invece, sottolineare che anche quei detenuti barbaramente pestati hanno una famiglia che ha assistito inerme al pestaggio dei propri cari. Entrambe le parti coinvolte in questa storia hanno famiglia. Non è una gara a chi soffre di più. E ancora: «Attendiamo – ricorda ancora Auricchio – la definizione di precisi protocolli di intervento da adottare quando accadono eventi critici come quelli che hanno visto protagonista l’istituto penale casertano, che metta al riparo in modo chiaro e preciso la Polizia Penitenziaria da strumentali accuse rispetto alle reali difficoltà che donne e uomini dello Stato sono chiamati ad affrontare ogni giorno». Ma di quali protocolli si sta parlando precisamente? I detenuti erano tutti disarmati e non stavano mettendo in atto nessuna rivolta e quella dei giorni prima era stata pacifica. Fu una mattanza bella e buona, nessuna emergenza e nessun protocollo mai potrà autorizzarvi a massacrare di botte un detenuto. In questo caso quasi trecento. NESSUN PROTOCOLLO.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.