Le violenze di Santa Maria Capua Vetere
Mattanza in carcere, un agente scarcerato accusa: “Infangato per un errore di identificazione”
È stato dieci giorni agli arresti domiciliari perché coinvolto nell’inchiesta sulla mattanza ai danni dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile 2020, ma era in realtà vittima di un clamoroso errore di identificazione.
Sergio Enea, gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha disposto mercoledì la scarcerazione dell’agente di polizia penitenziaria Giuliano Zullo, 55 anni, che lunedì 28 giugno era stato oggetto di misura cautelare assieme ad altri 51 indagati.
I suoi avvocati, Giuseppe Stellato ed Ernesto De Angelis, hanno infatti dimostrato che Zullo, sposato e con tre figli, non era in servizio tra il 5 e il 6 aprile 2020 perché di riposo. Il 55enne agente di penitenziaria era impiegato all’ufficio colloqui con i detenuti, dove presta servizio dal martedì al sabato: dagli interrogatori di 5-6 detenuti era poi emerso che questi si erano confusi scambiandolo per un altro agente operativo nel carcere sammaritano.
Gli avvocati di Zullo non nascondono di pensare ad una ‘vendetta’ da parte dei detenuti nei suoi confronti, dato che lavorando in sala colloqui l’agente era spesso riuscito ad evitare l’introduzione nel carcere di droga e cellulari, nascosti nei pacchi destinati agli ospiti della casa circondariale in provincia di Caserta.
Zullo dopo la scarcerazione si è sfogato così: “Sono un dipendente statale e sono stato trattato come un delinquente pur essendo innocente, sono ancora sotto choc, infangato dai detenuti dopo avere ricevuto sei encomi, e come se non bastasse, ho subito anche una serie di minacce su Facebook”, ha spiegato all’Ansa.
Una vicenda che non ha colpito solo lui, ma anche “la mia famiglia e i miei figli, uno dei quali sta per diventare prete. Pensi che a causa degli arresti non ha potuto neppure festeggiare questo momento così importante per lui e per noi”.
Sul caso è intervenuto a difesa di Zullo anche il segretario regionale del sindacato della polizia penitenziaria Uspp Ciro Auricchio: “Questo episodio – afferma il sindacalista – dimostra quanto siano deleterie le violazioni della privacy quando le indagini sono ancora nella fase preliminare. Il collega e la sua famiglia hanno vissuto ingiustamente dieci giorni di inferno“.
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