L’ultima aula dell’anno racconta un giorno distratto e preoccupato. Auguri stanchi e frettolosi. Sono poco più di 400 i deputati presenti, su 630 aventi diritto, e la legge di bilancio 2022 oltre che essere un dossier arrivato a Montecitorio già chiuso sembra anche un argomento superato. Mario Draghi, nonostante le richieste delle opposizioni che a metà mattinata inscenano il loro flash mob di protesta, non si è presentato in aula. «Verrà perché deve tenersi buoni i Grandi elettori» la convinzione di molti. Vero anche il contrario: la captatio benevolentiae sarebbe stata fin troppo smaccata, quasi pacchiana. «Non è roba da Draghi.…». Infatti. Chi era alla ricerca del solito indizio in più, è rimasto deluso.
La sera prima il premier aveva chiesto al ministro Daniele Franco di essere presente alle dichiarazioni di voto – atto di cortesia istituzionale – che poi sono state una sequela di grida e denunce allo “scempio democratico” per i tempi compressi. Altro che “manovra dei migliori”. Che poi compressi, i tempi, lo sono diventati perché il Senato ha discusso più di un mese su come suddividere i 600 milioni in dote al Parlamento sui 32 miliardi che sono il valore complessivo della manovra. Grazie alla giornata mite, i deputati stanno più fuori dall’aula – e possibilmente in cortile – che nei loro banchi. E si confrontano. Nessuno ha le idee chiare. Tutti chiedono agli altri, “vedremo”, “aspettiamo”. Si chiama stallo. Il tema “assenza di Draghi” si esaurisce in poche battute: provocatorio e scontato averlo chiamato; insignificante l’assenza.
Tira un po’ di più il discorso del Presidente. Cosa dirà Mattarella stasera? Sarà, soprattutto, il suo ultimo discorso? «Mattarella sta limando il testo perché sa che sta crescendo il pressing della politica per un suo bis» è il concetto che rimbalza nei capannelli di destra e di sinistra. In realtà è il desiderata di una parte della sinistra così come di una piccola parte, assai minoritaria, del centrodestra alle prese con il caso Berlusconi. «Il Cavaliere vuole farlo e ogni giorno aggiorna i numeri del pallottoliere, dice che 450 voti sono sicuri e che altri 100 possono arrivare dal gruppo misto. Che dalla quarta votazione ce la può fare (servono 505 voti, ndr)» raccontano i deputati azzurri. Che aggiungono: «Se lui ce lo chiede noi non possiamo non votarlo». Ma torniamo al discorso del Presidente che questo di Berlusconi al Colle andrà affrontato più in là. «Dopo la Befana» dicono i bene informati. Nel frattempo chi deve “lavorare”, cioè mediare e cercare sintesi, non andrà in vacanza.
Può darsi che il Presidente della Repubblica ripeta stasera quello che sta dicendo da mesi, ovverosia che il suo settennato finisce qua e pronunci il suo ennesimo discorso di congedo e di commiato. Se così fosse, sarebbe quasi una pietra tombale sul bis. Può darsi che, invece, ritenga preferibile non insistere sul punto perché già abbondantemente chiarito. «In questo caso lascerebbe aperto uno spiraglio» fanno notare, in tempo diversi, alcuni deputati Pd, uno di Leu e un altro gruppetto di Forza Italia. «Signori cari, l’incalzare del virus (ieri 126 mila contagi, ndr), le ricadute sanitarie ed economiche, l’inflazione, la crisi energetica e il caro bollette, sono tutte variabili non previste un mese fa. Non almeno in questi termini…», aggiungono. Tutto vero. Nessuno qui può dire che la missione iniziata dieci mesi fa sia “compiuta”. Bene avviata ma non conclusa e costretta a fronteggiare continue variabili.
Il discorso del Presidente sarà letto e riletto più volte in controluce. Sicuramente di più e meglio di quanto sia stato fatto con la conferenza stampa di Draghi dove la disponibilità di «un nonno al servizio delle istituzioni» è diventata la “candidatura” del premier al Quirinale. Ma è certo che in queste ultime ore a disposizione, il Capo dello Stato saprà ben riflettere sul quadro di situazione attuale. Che non è quello di due mesi fa. E sebbene Mattarella per sette anni abbia spesso messo pezze agli scivoloni di questa legislatura, non potrà proprio adesso girarsi dall’altra parte perché così dicono le regole della democrazia parlamentare. Stesso ragionamento vale per Draghi: le legittime ambizioni personali non possono prevalere sull’interesse pubblico. In Transatlantico si citano Stefano Folli e Marzio Breda, quirinalisti di razza, che proprio ieri nei rispettivi corsivi sono tornati a parlare del bis sotto il pressing della politica. «L’equilibrio delle fragilità (del sistema dei partiti, ndr) – ha scritto Folli – si è retto finora sul binomio Mattarella-Draghi. La logica vorrebbe che questo fosse prolungato fino al 2023».
Si porta un indizio a favore di questo schema: l’elezione di Fabrizio Castaldi a segretario generale della Camera dei deputati. «È un segno di continuità con il presente. Con Mattarella e Draghi» spiega un funzionario ben dentro gli equilibri del Palazzo. «L’elezione in fondo poteva tranquillamente slittare. Invece è stata fatta e Castaldi è stato eletto all’unanimità». Castaldi è uno “zampettiano”, nel gergo dei giornalisti parlamentari un pupillo di Zampetti che è il segretario generale del Quirinale. Indizi, solo indizi, per carità. “Status quo” è il latinorum che rimbalza anche nei capannelli 5 Stelle. Il ticket Mattarella-Draghi è lo schema a cui lavora Luigi Di Maio da sempre. Ma non è quello di Giuseppe Conte che ha lanciato un poker di donne per il Quirinale. E per fermare Draghi e Berlusconi. La sua preferita è Silvana Sciarra, giudice costituzionale eletta dal Parlamento a maggioranza grillino. Ma i gruppi parlamentari hanno già alzato la paletta rossa: «Niente fughe in avanti – hanno fatto notare al presidente Conte – prima ne parla con noi e poi si decide cosa fare». Per qualcuno è già un inizio di commissariamento dell’ex premier. Il mantenimento dello status quo, soprattutto personale, è l’unica vera garanzia per la legislatura, per l’azione di governo di cui i 5 Stelle si fidano. Aula distratta l’ultima di questo 2021, tante facce, tanti pensieri, nessuna certezza.
Certo poi se Mattarella proprio non fosse disponibile, cosa che dal Quirinale continuano a ripetere in modo quasi ossessivo, una soluzione va trovata. «È chiaro che a quel punto Draghi sarebbe l’opzione scontata. Ma poi chi va a palazzo Chigi al suo posto» si chiedono un po’ tutti. Si fa il nome di Dario Franceschini, sarebbe un pezzo del pacchetto cui sta lavorando Matteo Renzi. Negli ultimi due giorni il ministro Franceschini si è fatto vedere in Transatlantico. Anche questi sono segnali. C’è anche un’altra ipotesi. In realtà se ne fanno molte. Fonti Pd indicano una data: il 27 gennaio. Quel giorno Giuliano Amato diventerà presidente della Corte Costituzionale. Il dottor Sottile fu a un passo dal Colle già nel 2015, era il candidato di Berlusconi e Bersani. Arrivò Matteo Renzi e tirò fuori Mattarella. Una volta diventato Presidente della Corte, potrebbe essere Amato il nome che mette tutti d’accordo. Dal palazzo della Consulta a quello del Quirinale sono meno di cento passi. «Perché poi Draghi – soffiano sempre fonti Pd – non ha i voti che servono per il Colle».
Una cosa è certa: il presidente del Consiglio nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno ha assunto decisioni molto “politiche”, scontentando a destra, soprattutto, e a sinistra, un po’ meno. L’azzeramento della quarantena per i contatti vaccinati con tre dosi (o due da meno di 120 giorni) e, nei fatti, il lock down mascherato per i no vax a partire dal 10 gennaio, sono decisioni forti, necessarie, di un politico che capisce quando non è più possibile rinviare. Draghi ha aspettato l’ultimo cdm dell’anno per mettere sul tavolo la questione più scomoda: l’obbligo vaccinale. La Lega e un pezzo di 5 Stelle non sono d’accordo. Forza Italia è incerta. Italia viva ha lanciato ieri la petizione per l’obbligo vaccinale. Prime firmatarie Anna Maria Perente e Lisa Noja. Il segretario del Pd Enrico Letta lo ha chiesto in un’intervista: «Il momento è adesso». Un leader in partenza non mette sul tavolo una decisione del genere. Che è, invece, un leader che governa.