Il discorso del Capo dello Stato a Ventotene
Mattarella: “Sovranità sì, ma condivisa per zittire in nemici dell’Ue”
Parlando nell’isola, domenica 29 agosto, in occasione degli ottanta anni del Manifesto di Ventotene, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha usato toni duri nei confronti dei “gelidi antipatizzanti” dell’integrazione europea e dell’atteggiamento sconcertante di quei politici che stigmatizzano la condizione attuale degli afghani i cui diritti e le cui libertà sono ormai nettamente in pericolo, ma che dicono, in sostanza, “che restino lì” perché questi stessi politici non sono disponibili ad accogliere i profughi nei rispettivi Paesi.
In un dialogo intrecciato con i giovani, centrale è stata la necessità che l’Unione si doti di una propria difesa, di una propria politica estera e di sicurezza. Alla base Mattarella ha posto il tema della sovranità europea da costruire. Ma il Presidente, sia pure in un discorso ispirato al “Manifesto” e allo spirito europeista oggi rafforzato, è stato ben attento a parlare di “ sovranità condivisa”. Ecco il punto: perché si affermi la sovranità superiore occorre che tutti i Partner siano ammessi a partecipare al suo esercizio, cosa che bilancia il venir meno di alcune prerogative nazionali “sovrane”. Diversamente, si tratterebbe di una mera sottrazione di poteri. Ma la condivisione richiede un assetto istituzionale idoneo.
Non sarebbe affatto sufficiente introdurre, come in passato si è prospettato, la figura del Ministro delle Finanze unico a livello comunitario per farne un soggetto interfaccia della Bce, perché significherebbe concentrare un significativo potere in un ruolo che non risponderebbe al Parlamento alla stregua di quanto è previsto, per i Governi, a livello nazionale. Dunque, viene in rilievo anche il potere dell’Europarlamento. In sostanza, si tratta di costruire un sistema adeguato di “ pesi e contrappesi” con i poteri legislativo ed esecutivo, riorganizzati, titolari di una legittimazione democratica diretta e indiretta. Insomma, la compartecipazione a un più elevato livello della sovranità richiede una nuova fase di riforma dell’Unione. Ma ciò deve essere alimentato da un nuovo spirito europeo.
La realtà, tuttavia, è ben diversa e in diversi campi si è in un percorso nel quale “non si è più e non si è ancora”. Tipico il caso, pure citato da Mattarella, perché si facciano dei progressi, dell’Unione bancaria. Dei tre pilastri – Vigilanza unica, risoluzione europea delle banche e assicurazione comunitaria dei depositi – è stato fin qui compiutamente attuato solo il primo, mentre il secondo è stato in parte realizzato e il terzo resta lontano dall’attuazione. Per quest’ultimo torna immancabilmente la condizione tedesca della priorità da dare alla drastica riduzione dei rischi delle banche prima di mettere in comune l’assicurazione degli stessi: viene quasi da sorridere, dal momento che la drastica riduzione, se fosse possibile, renderebbe superflua l’assicurazione.
In altri interventi, sempre tedeschi, si aderirebbe all’assicurazione alla condizione che si pongano limiti agli investimenti, da parte delle banche, nei titoli pubblici. Si risolverebbe, così, un problema e se ne aprirebbe un altro non meno pesante. È, questo, un test che dimostra come, anche per le intese che si raggiungono e si sottoscrivono, poi sorgano ostacoli enormi nell’attuazione dimenticando il principio “pacta sunt servanda”. Per questa solo parzialmente attuata riforma vale il fatto che completamente trascurato è il principio di sussidiarietà verticale in base al quale ciò che può essere fatto a livello inferiore non va trasferito a livello superiore: un principio che i Padri fondatori dell’Europa unita, come la immaginavano, posero a base dei Trattati di Roma.
Quanto alla vigilanza bancaria, il solo pilastro attuato, il trasferimento è avvenuto in piena difformità di quanto previsto dal Trattato Ue che ammette solo l’accentramento nella Bce di compiti specifici di Vigilanza prudenziale, mentre con un accordo intergovernativo, la Supervisione è stata accentrata in blocco. Sui modi di esercizio, che trascurano il fatto che si tratta di una funzione prevalentemente di prossimità, molto vi è da ridire e da contestare. Anzi, sono proprio scelte di questo tipo che finiscono con l’accrescere il distacco nei confronti dei cittadini e delle istituzioni nazionali. Anche per queste ragioni – quello riportato essendo un caso esemplificativo – è necessaria una riforma che tenga insieme accentramento e sussidiarietà. È, questo, il modo per compiere un’operazione meritoria e falciare l’erba sotto i piedi degli avversari “sic et simpliciter” dell’integrazione. Sovranità europea e condivisione debbono marciare insieme.
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