Matteo Messina Denaro, il procuratore De Lucia: “Fu fermato a un posto di blocco sette anni fa, non fu riconosciuto”

Matteo Messina Denaro ha vissuto a lungo nel territorio del Trapanese, il suo territorio, sicuro di non essere scoperto. Indagando dopo il suo arresto abbiamo scoperto che era stato addirittura fermato a un posto di blocco, sette anni fa, in provincia di Trapani. Ma non fu riconosciuto dai carabinieri che controllarono il suo documento. Tutto sembrava in regola”. La rivelazione sulla latitanza di Matteo Messina Denaro è arrivata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, quel magistrato che ha coordinato le indagini per l’arresto del mafioso avvenuto il 16 gennaio 2023.

Messina Denaro, le rivelazioni del procuratore

Di fatto, ha spiegato il procuratore De Lucia, “La malattia non aveva cambiato le abitudini del latitante Messina Denaro”. La risposta di De Lucia è stata indirizzata a una studente delle scuole di Casal di Principe (Caserta), in occasione di un evento nella villa confiscata dove oggi ha sede Casa Don Peppe Diana. Gli studenti hanno letto “La Cattura – i misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia” scritto proprio dal procuratore insieme all’inviato di Repubblica Salvo Palazzolo, a cui poi hanno rivolto alcune domande: “Messina Denaro fidava sul fatto che le forze dell’ordine avevano sue foto vecchie di anni ma c’era anche lo avvisava dei movimenti degli investigatori. Ci dobbiamo interrogare su come sia stato possibile che abbia trascorso trent’anni di latitanza. Oggi l’impegno della procura di Palermo è quello di individuare chi ha favorito Messina Denaro”.

Il rischio di oggi con la Mafia

“Cosa nostra ha subito colpi importanti, è stata indebolita ed è più povera, ma le famiglie provano sempre a riorganizzare un organismo di vertice e soprattutto ad arricchirsi nuovamente, attraverso il traffico di stupefacenti” ha detto De Lucia. “Il rischio più grande che oggi corriamo – ha poi aggiunto il giornalista Palazzolo – è quello di non comprendere l’evoluzione del fenomeno mafioso. Don Peppe Diana in Campania e don Pino Puglisi in Sicilia invitavano la Chiesa e la società civile a una testimonianza più attiva, per la liberazione del territorio, ma restarono soli. Per questo furono uccisi. È il motivo per cui oggi non possiamo permetterci altre pericolose sottovalutazioni, di fronte a una mafia tornata silente che si infiltra nell’economia e nella politica”.