La storia del futuro
Mattia Feltri: “Sarà la rivolta dei mercati globali a salvare il mercato globale, l’Ue sappia restare unita e aspettare che l’America rinsavisca”
Per il giornalista “i processi di cambiamento vanno governati, non banditi Come il luddismo, anche i dazi saranno travolti nel mondo interdipendente”

Care Cassandre, la globalizzazione è viva e vegeta. A dirci perché è Mattia Feltri, direttore di Huffington Post e editorialista de La Stampa.
La globalizzazione è messa in discussione dalla chiusura americana?
«È la chiusura americana a essere messa in discussione dalla globalizzazione, come dimostrano gli andamenti dei mercati. La globalizzazione scaturita dalla rivoluzione digitale ha demolito l’idea del lavoro novecentesca, ha demolito le filiere industriali, ci permette di comprare le scarpe su misura direttamente dal produttore inglese senza andare in un negozio. Come si può pensare che tutto questo svanisca o anche solo si ridimensioni per i dazi di Trump, mentre conversiamo su WhatsApp e io controllo il Wall Street Journal sul computer?»
In un tuo corsivo avevi fatto l’esempio della discografia, rivoluzionata completamente. Sono processi irreversibili.
«Gli esempi possono essere tanti: vale per le camicie, per le scarpe, per mille cose. Io ho appena comprato da un artigiano francese della crema al caramello al burro salato, e mi arriverà a casa fra tre giorni. Molti di noi ci hanno perso o sono stati fatti fuori come lavoratori, tutti noi ci abbiamo guadagnato come clienti».
Peraltro vengono meno i negozi ma nascono centinaia di professionalità nuove…
«Giustissimo. È stato previsto dal centro studi dell’Onu che il 50% dei bambini che frequenta le elementari, svolgerà professioni che oggi non esistono ancora. La rivoluzione digitale e la globalizzazione fanno sia male che bene, dipende da come le si affronta. Ma non si cancellano».
Oggi il sistema legislativo puntella la tutela del Made in Italy, per difendere il prodotto italiano dai venti della globalizzazione.
«È un concetto un po’ vago, quello del Made in Italy. Faccio l’esempio della zucchina che viene da sementi ucraine, coltivata nell’agro pontino dai Sikh, imbustata in una plastica croata, trasportata da un camionista rumeno, venduto al Carrefour da un cambogiano: come si fa a promuovere con la dicitura Made in Italy? È una illusione assoluta, il 100% made in Italy. E così il 100% americano. Come peraltro spiegava decenni fa Milton Friedman nel video della matita postato ieri da Musk».
Qual è la risposta che senti dare dalla politica?
«La politica avrebbe dovuto governare il processo della globalizzazione e invece non l’ha fatto e ha chiamato neoliberismo la sua resa per disarmo. E adesso nel suo modo, anche rozzo e brutale, Donald Trump ne incarna l’antitesi. Questa antinomia tra tesi e antitesi non può che portare a una sintesi. Ma sempre mondo globalizzato sarà».
Tuttavia Trump prova a chiudersi nei suoi confini.
«Gli Stati Uniti sono il più grande mercato del mondo. Se si chiude, il resto del mondo commercia senza gli Stati Uniti che dovranno poi fare i conti con le conseguenze del caso: non sono io a dirlo, ma inflazione, contrazione del mercato e recessione sono già indicate nell’agenda di tutti gli analisti americani. Ci sono modi diversi per porsi nei confronti della globalizzazione, nascondere la testa sotto la sabbia è il metodo più illusorio».
La globalizzazione è come l’aria, è come l’acqua dell’oceano. Difficile abolirla.
«È impossibile abolire quello che c’è. Però ci si illude: pensiamo al luddismo, quando gli operai lanciavano i loro zoccoli, i sabot, nelle macchine per la tessitura. Il famoso sabotaggio. Volevano tornare indietro per riavere il lavoro che gli avevano portato via le macchine. Si può ipotizzare di vivere in un mondo dai confini forti, ma la realtà è che non esistono più, e anche Trump dovrà arrendersi».
Nostalgia canaglia, insomma. Ma il futuro è arrivato e non lo si può ricacciare indietro…
«Avrai presente il film “Il mestiere delle armi” di Ermanno Olmi? Giovanni delle Bande Nere, colpito da una cannonata, muore. Nell’ultima scena, i sapienti si riuniscono e prendono una decisione solenne: “Mai più polvere da sparo”. Sappiamo come è andata a finire. Nessun “mai più” può cancellare la realtà».
I cambiamenti vanno governati, non vietati.
«Il bravo politico cerca di capire il mondo e di governare i processi di trasformazione. Non di impedirli e di vietarli. Hanno provato, anche in Italia, a bandire la fecondazione assistita. Sappiamo come è andata. Finirà allo stesso modo con il formaggio sintetico o la carne coltivata. Chi preferisce non vedere dove va il mondo o cerca di costruirsene uno secondo i suoi gusti o cerca di sottrarsi al suo dovere di governare i processi va incontro, presto o tardi, a autentici disastri».
Chi si oppone al cambiamento, venga da destra, dal centro o da sinistra, è a suo modo conservatore.
«È un reazionario. E i reazionari davanti al cambiamento fanno pasticci. Ma non si sono saputi comportare meglio, soprattutto a sinistra, quelli che sono rimasti a guardare, perché non hanno capito che cosa stava succedendo e quando lo hanno capito non hanno saputo che fare».
Sui dazi di Trump vedi risposte adeguate da parte del governo?
«Risposte no, ma dato che la discussione sui dazi è vecchia, appunto novecentesca, rientra meglio nelle corde della nostra politica. Che non è, come noto, aggiornatissima. Dunque c’è dibattito, anche se un po’ di cortile. I nostri – tra governo e opposizione – non provano nemmeno ad analizzare il mondo che cambia. Presidiano caselle. Trump punta a spaccare l’Europa sperando che i leader vadano da lui uno a uno, per negoziare da soli. Quello sarebbe il vero disastro, la fine dell’Europa. Ma spero che alla lunga l’Ue sappia restare unita e aspettare che l’America rinsavisca. Come dicevamo all’inizio, sarà la rivolta dei mercati globali a salvare il mercato globale».
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