Senza le parole di Sergio Mattarella, Liliana Segre e Giorgia Meloni, anche quest’anno la celebrazione del Giorno della Memoria sarebbe stata un déjà vu. Dagli altri vertici delle istituzioni e dai leader di partito, infatti, è arrivata solo la consunta e – talvolta – l’ipocrita retorica del “mai più”. Dagli intellettuali engagés della sinistra filopalestinese, poi, nemmeno questa. Solo un imbarazzante silenzio. Ma né lo spettacolo deprimente offerto dal mondo della politica e della cultura nazionale, né la battaglia contro l’ormai dilagante antisemitismo devono distogliere le forze che la conducono da una riflessione sul futuro del conflitto in Medio Oriente.

Il conto pagato da Israele

Chi salva una vita salva il mondo intero: così si legge nel Talmud. Sia quindi benvenuta la liberazione dei (pochi) sopravvissuti all’inferno dei tunnel costruiti, ironia della sorte, da Yahya Sinwar con il denaro degli aiuti umanitari. Tuttavia il conto pagato da Israele con il cessate il fuoco è molto salato. Non tanto perché deve rilasciare decine di palestinesi, tra cui molti terroristi, per ogni ostaggio innocente rapito nel pogrom del 7 ottobre. Ma soprattutto perché Hamas è rimasto al potere nella Striscia. Del resto, abbiamo visto tutti le immagini dei brigatisti armati fino ai denti di al-Qassam festeggiare (circondati da folle esultanti) una vittoria politica, se non militare.

Una nuova spirale di violenza

Il conflitto in Medio Oriente quindi non solo non è finito, ma rischia di avvitarsi in una nuova spirale di violenza. L’accordo di tregua rafforza, infatti, tutte e tre le anime dell’Islam radicale. Quella dell’Iran che, pur con Hezbollah ferito e con la perdita di un alleato prezioso come la Siria, è ansioso di riscattare l’umiliazione subita dall’aviazione dell’Idf. Poi quella di Isis e al Qaida, che nel decennio passato hanno perso territori e potere ma che si stanno riorganizzando per risalire la china nella galassia jihadista. Infine c’è quella dei fondamentalisti sunniti, con i Fratelli musulmani ormai padroni di Damasco. Tre anime che, interagendo tra loro, possono portare a una radicalizzazione delle comunità arabe che vivono a ovest di Allah. E qualche segnale lo abbiamo già avuto in queste settimane, sia in America che in Europa. Attenzione, quindi. Le teocrazie islamiche hanno un vantaggio non trascurabile sulle democrazie liberali: non devono sottoporsi a elezioni ogni 4 o 5 anni. Hanno tempo, hanno pazienza, odiano l’Occidente e sono devote alla causa: la distruzione d’Israele.