"Tanta gente continua a venire grazie all’umanità che attrae"
“Meeting di Rimini uno spazio di libertà tra identità e dialogo”, parla la cofondatrice Emilia Guarnieri
La rubrica dedicata al Meeting di Rimini non poteva che partire con una nota storica. Negli anni il Meeting è diventato noto, seguito dai media e molto partecipato, allargando anche fisicamente gli spazi dedicati a mostre, spettacoli e incontri uscendo talvolta dai confini della fiera per approdare in diversi luoghi della città di Rimini con alcuni rami della manifestazione. Ma nasce da un’intuizione, uno slancio, una piccola scommessa che chiediamo di raccontarci a Emilia Guarnieri, cofondatrice del Meeting per l’amicizia fra i popoli e presidente della Fondazione Meeting fino al 2020.
Emilia, torniamo a quando il Meeting non era ancora approdato in fiera. Più di quarant’anni di storia che se non sbaglio cominciano in una pizzeria. Ci racconti quale fu lo spunto iniziale e come poi prese vita?
«All’origine c’è un gruppo di amici che condividono l’esperienza cristiana nata da don Giussani, appassionati alla vita, desiderosi di conoscere il mondo, sensibili alle cose “belle”, con una grande voglia di incontrare e di comunicare. Siamo alla fine degli anni ’70. Gli anni delle lotte di liberazione in America Latina, del dissenso in Unione sovietica, dei cristiani in clandestinità nell’Est Europa. E in Italia gli anni del terrorismo. Per nulla estranei a quello che succedeva nel mondo, ci sentivamo anche radicati nella nostra Rimini, con la sua vocazione internazionale e la sua capacità di accoglienza. Una sera in Pizzeria uno di quegli amici lancia l’idea: “Dovremmo fare un meeting per l’amicizia tra i popoli”. Una occasione di incontro in cui portare a Rimini tutto quanto di bello e di vero si muove nel mondo. C’era l’intuizione che il cambiamento si produce per contagio, incontrando ciò che già vive. E così abbiamo cominciato a cercare storie e persone che raccontassero una “liberazione”, come allora si diceva, in atto. Impossibile citare nomi, tantissimi, ognuno un tassello di Meeting. Abbiamo incontrato tanta bellezza dell’esperienza umana. Fino al rapporto con persone di fede e cultura diversa, buddisti, ebrei, laici, mussulmani. Proprio con persone di cultura islamica, negli ultimi anni, è accaduta una reale amicizia».
Come accadde che nel giro di pochi anni la manifestazione comincia ad avere dimensioni tali da essere un appuntamento fisso per il Paese?
«La prima edizione attirò pubblico e media oltre ogni aspettativa. Personaggi “iconici”, come i dissidenti russi Bukovskij e Maximov, contribuirono al successo. La visita di Giovanni Paolo II nell’82 confermò in noi la coscienza della responsabilità e lanciò decisamente il Meeting sulla scena internazionale. All’inizio non avevamo immaginato né che il Meeting crescesse così rapidamente, né che si sarebbe fatto ogni anno. La realtà si è imposta. Ha dettato le direzioni da prendere, i rapporti da privilegiare. Con un criterio semplice, persone con un accento di verità umana e capaci di portare un reale contributo di esperienza e di contenuti. Non abbiamo mai programmato a tavolino, un incontro ne generava altri, un’amicizia apriva ad altre. Tutto nel Meeting è cresciuto imparando dalla realtà. Un esempio? I volontari. Fin dalla prima edizione è stato evidente che avevamo bisogno di persone per i vari servizi, dalla ristorazione alle Mostre. Abbiamo cercato amici. Nel corso degli anni abbiamo visto che i volontari non rispondono solo a un bisogno materiale, ma sono il vero cuore del Meeting perché nella loro gratuità diventa evidente e incontrabile per tutti l’ideale che ci anima. Credo che tanta gente continui a venire al Meeting perché incontra un’umanità che attrae».
Hai seguito più di quaranta edizioni di Meeting da vicino: ti sentiresti di dire che il Meeting ha avuto un impatto reale e positivo sul tessuto sociale e politico del Paese? In che cosa?
«Il nome Meeting per l’amicizia fra i popoli dice che fin dall’inizio ci stava a cuore la costruzione di un luogo reale di incontro, uno spazio di libertà per tutti, dove poter condividere la propria identità in dialogo con altri. Credo che questo sia il contributo più grande che portiamo. Tutti quelli che sono venuti (visitatori, relatori e partner) hanno sempre riscontrato questo clima di libertà e di incontro come uno dei fattori positivi del Meeting, come qualcosa da cui forse anche imparare».
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