Alla fine, sorpresa delle sorprese, Jean Luc Mélenchon trionfa, e con grande e gioiosa visibilità a favore delle telecamere di tutto il mondo, ma Macron vince. Sembra incredibile, ma è così: il Presidente ha respinto le affrettate dimissioni del giovane Primo ministro Gabriel Attal (trentacinquenne e primo capo di governo dichiaratamene gay) che si era già dato per sconfitto: “Stia Tranquillo Gabriel, gli ha detto Emmanuel Macron: lei seguiti a governare e poi vedremo se dovrà lasciare il suo incarico”.

La fretta di Mélenchon

Ieri la piazza parigina era convocata per reclamare l’incarico per un governo presieduto da Mélenchon che però si è mosso con troppa fretta annunciando alla Francia che “Macron è stato sconfitto e il Nuovo Fronte Popolare è pronto a governare”. Ora, è perfettamente vero che il Fronte Popolare rappresenta il primo blocco di deputati all’Assemblea Nazionale. Ma non ha i numeri sufficienti e il suo trionfante leader si è messo in una posizione insostenibile. Il sistema costituzionale francese prevede che il capo del governo si spogli di ogni posizione politica personale essendo in genere della stessa parte politica che ha eletto il Presidente della Repubblica. Ma quando questa comunione dei beni non è possibile, può prodursi il fenomeno per noi poco comprensibile della coabitazione.

I due nemici

L’Eliseo di Macron resta alla guida del Paese ma il primo ministro che proviene da un’altra storia politica sta al Matignon con una diversa mentalità ideologica, ma costituzionalmente è l’Eliseo che mantiene la sua supremazia politica sul governo, anche se al governo c’è un vecchio nemico. E i due sono radicalmente nemici, non solo avversari. Tuttavia, Mélenchon ha reso a Macron un servizio impagabile resuscitando con un moto rivoluzionario e politico la sinistra-sinistra che è montata su un fronte antifascista ridicendo al silenzio gli eredi del collaborazionismo. e questo significa che il primo ministro deve accettare di svolgere un ruolo unificante e non di divisione. E il Fronte Nazionale della Le Pen, figlia dell’erede storico della Francia collaborazionista dei tedeschi quando il maresciallo Pétain governava lo Stato fantoccio di Vichy, perde rovinosamente per la resurrezione della sinistra del prode Mélenchon, e per la tenuta degli eredi di Charles de Gaulle, leader solitario e indiscusso della Resistenza ai tempi in cui il Partito comunista era fuori legge per aver sostenuto gli invasori in nome del patto fra Hitler e Stalin.

Il delirio di onnipotenza di Melenchon

Soltanto dopo l’invasione tedesca dell’ex alleato sovietico, i comunisti francesi si gettarono nel “Maquis”, la Resistenza patriottica che però era già dominata, e ancora oggi resta, dalla destra gollista. Per la Costituzione francese la figura del Premier, che abita al palazzo del Matignon e gode di un’ampia indipendenza dall’Eliseo presidenziale, deve garantire formalmente l’unione politica e promuovere le più ampie coalizioni possibili. Melenchon nell’entusiasmo per il successo al di là delle previsioni (ma che non gli dà affatto la maggioranza assoluta) ha reclamato per sé una vittoria che non è assoluta e ha per di più delegittimato il nemico dell’Eliseo, dichiarandolo sconfitto, cosa che non solo viola le regole, ma permette a Macron di rifiutare l’incarico per motivi costituzionali e non di fazione politica. Emmanuel Macron è un creatore originale e molto audace perché ha saputo far girare il torneo in modo tale da garantire la propria insostituibilità.

Lo stile a sinistra: la lezione di Starmer

La Francia è arrivata così ad una inaspettata ma vigorosa resa dei conti e al compattamento della Francia della Resistenza gollista, nazionalista e di destra patriottica, che insieme alla nuova sinistra radicale di Mélenchon, disarciona il fronte neofascista di ieri, che oggi guarda alla Russia e all’Ungheria di Orban. È clamorosa la differenza fra due uomini entrambi di sinistra che in questi giorni hanno assunto una leadership inaspettata. Uno è il sinistresissimo Jean Luc che adora la rivoluzione l’altro è il primo ministro inglese Keir Starmer, il leader laburista che ha ricevuto l’incarico da Re Carlo. Starmer è atlantico, filoisraeliano, nemico dell’immigrazione clandestina, protettore della produzione industriale e della ricchezza con la fiducia dei sindacati, degli elettori progressisti e degli imprenditori. Starmer si è trasferito al numero dieci di Downing Street ringraziando e rendendo omaggio al suo predecessore conservatore Rishi Sunak.

Il colpaccio da Casino Royale

Dall’altra parte, il mercuriale Mélenchon, che trionfa senza vincere, delegittima l’Eliseo e chiede la testa del re repubblicano. Francia e Inghilterra sono separate non solo dal canale: nel corso di poche ore le tradizioni e le radici politiche e costituzionali del Regno Unito e della Francia. I due protagonisti, il vincitore delle elezioni e l’uomo dell’Eliseo, sono dunque per forza alleati, indipendentemente dal flusso emotivo che scuote la Francia come un colpo di frusta. Con Mélenchon la Francia si è scrollata dalle spalle l’ultradestra lepeniana e filo putiniana e ora i colpi di scena si susseguono, mostrando la fredda genialità di Macron che spariglia quando si deve sparigliare e che con un colpaccio da Casino Royale dopo la batosta delle europee, ha realizzato l’en-plein: mettere la destra post-fascista è fuorigioco, dare spazio ma non la vittoria alla gauche che inebria le piazze, rendendo sé stesso il suo partito indispensabili per qualsiasi maggioranza. La sinistra di Mélenchon, “Francia invitta” rappresenta la pura gauche da barricata pronta a venire alle mani, appassionata di slogan scanditi e di vessilli e girotondi. Una sinistra non soltanto radicale ma andata oltre la ossuta ortodossia del vecchio Pcf, perché profondamente contaminata dal castrismo e dal mito venezuelano di Chavez. La vena castrista e latino-americana ha costituito e costruisce ancora il legame ideologico unificante tra la vecchia e la nuova gauche: meno Lenin e più Fidel, oltre a un tifo urlatissimo e spesso razzista contro Israele e a favore di Hamas, che ha valso a Mélenchon un’accusa di antisemitismo, poi parzialmente rientrata.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.