L'intervista
Meloni a Washington convince i social. Tiberio Brunetti: “Il suo approccio è misurato. Trump? In rete c’è frustrazione, ha fatto credere la pace a portata di mano”

La missione di Giorgia Meloni a Washington ha convinto la maggioranza degli italiani sui social. Anche perché è riuscita a portare a casa l’obiettivo più complicato: far ragionare Donald Trump. I numeri dell’analisi di Vis Factor, società di consulenza strategica per istituzioni e aziende, non lasciano spazio a libere interpretazioni: un sentiment positivo del 54%, a cui si aggiungono positive emozioni suscitate (28% entusiasmo e 18% gioia). E ora, spiega il fondatore Tiberio Brunetti, sui dazi c’è più rassicurazione rispetto al panico delle scorse settimane.
I numeri parlano chiaro: l’incontro tra Meloni e Trump è stato un successo social. Se l’aspettava o è rimasto sorpreso?
«Il nostro presidente del Consiglio aveva due obiettivi: uno a portata di mano, confermarsi come leader europeo maggiormente tenuto in considerazione a Washington, e uno più rischioso, far ragionare Donald Trump. È riuscito a raggiungere entrambi. Nessun altro leader avrebbe potuto affrontare questa missione, in un contesto così scivoloso, ed uscirne rafforzato. A Giorgia Meloni è riuscito».
Le aspettative della vigilia sono state superate? In molti temevano che la presidente tornasse in Italia a mani vuote…
«Le aspettative sono state confermate e per certi aspetti superate. Trump ha mostrato aperture al dialogo non scontate. Certo, c’è da trasformare gli intenti in azioni conseguenti, ma intanto si è identificata la direzione giusta. È una fase di grande incertezza e c’è bisogno di leader che riescano a conciliare le posizioni. Da questo punto di vista, il presidente del Consiglio ha l’opportunità di essere un grande protagonista».
Qual è l’aspetto che più di tutti ha conquistato la Rete?
«Giorgia Meloni dimostra ancora una volta che fa quello che dice, dunque è credibile. L’opinione social premia sempre questa coerenza di fondo».
Anche diversi utenti di centrosinistra riconoscono che la missione è stata positiva?
«In parte. Bisogna calcolare che questa visita cade in un momento in cui Trump, in Italia come nel resto d’Europa, non è assolutamente popolare, a causa dei dazi, dell’accordo tra Ucraina e Russia che non si vede all’orizzonte, delle dichiarazioni anti-europee. La liberazione di Cecilia Sala avvenne immediatamente dopo l’incontro Trump-Meloni e segnò un sentiment positivo record per il presidente del Consiglio. Questa volta il contesto era differente, il significato dell’incontro era più politico e dunque l’opposizione ha sminuito i risultati. L’unico, fuori dal perimetro della maggioranza, che ne ha riconosciuto la valenza è stato Calenda».
Meloni ha tenuto la barra dritta sull’Europa e sull’Ucraina, confermandosi ponte tra Ue e Usa. È questa la mossa con cui ha convinto anche i moderati?
«Io credo che uno degli aspetti che rendano centrale Giorgia Meloni in Italia, Europa e Occidente è che rappresenti la leadership più moderata tra i conservatori. È alla guida di un governo a trazione moderata ed è assolutamente lontana dai toni accesi e divisivi che caratterizzano, ad esempio, Trump, Orbán o Milei. Tutto questo rassicura l’elettorato di riferimento e l’opinione pubblica in generale. Il modello Meloni potrebbe essere un punto d’arrivo dei conservatori in molti altri Stati».
Della pace però non c’è neanche l’ombra. C’è rassegnazione o sui social si mantiene viva la speranza?
«Trump aveva alzato molto le aspettative su una pace a portata di mano. Sui social si esprime molta frustrazione per un obiettivo che sembra lontano dall’essere raggiunto, anche perché l’Unione europea appare troppo debole per sostenere da sola l’Ucraina».
Rispetto al panico delle scorse settimane per una guerra commerciale, ora c’è più rassicurazione?
«Assolutamente sì: intanto i dazi in questo momento sono sospesi. In più le dichiarazioni di Trump che ha aderito all’invito di Meloni a interloquire con l’Ue sul tema, in un incontro che potrebbe tenersi a Roma, sono molto confortanti».
Meloni continua ad accreditarsi all’estero. Quanto conta il fattore del prestigio internazionale?
«Il suo approccio è molto misurato, non pone mai delle aspettative oltre le reali possibilità di successo. Poi c’è da dire che gode di una congiuntura geopolitica favorevole: ha ottimi rapporti con Trump e questo la rende centrale in qualsiasi interlocuzione atlantica, considerato che Macron è in difficoltà interna e su posizioni distanti dagli Usa e la Germania è in una fase di transizione. Il prestigio internazionale è fondamentale: tra i meriti della lunghissima carriera da premier di Silvio Berlusconi ricordiamo lo storico vertice di Pratica di Mare tra Bush e Putin. Giorgia Meloni ha dimostrato di reggere meglio di altri la scena internazionale. Di sicuro oggi l’Italia gioca un ruolo da protagonista».
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