La campagna elettorale è ancora lunga. Perché ventuno giorni sono percepiti come un periodo lungo. Giorgia Meloni dovrà affrontare una serie di tornanti: lo scontro quotidiano con gli alleati in virtù di un sistema di voto di proporzionale, la festa dei conservatori di questo fine settimana a Madrid, il festival dell’Economia di Trento, il faccia a faccia con Elly Schlein, il raduno di tutti i sostenitori di Fratelli d’Italia a piazza del Popolo. Insomma, appuntamenti che possono spostare le lancette dei consensi da una parte o dall’altra. Fatto sta che la war room di Fratelli d’Italia, supervisionata dalla sorella Arianna (Meloni), ragiona già al futuro. Al radicamento del melonismo nei territori, alle regionali dell’autunno del 2024 e a quelle della primavera del 2025. «In Italia è così, siamo in perenne campagna elettorale».
La prossima campagna della presidente del Consiglio si chiama Nord: conquistare il settentrione è l’obiettivo nemmeno tanto nascosto dell’inquilina di Palazzo Chigi. E conquistarlo significa guidare le regioni strategiche. Raccontano che Silvio Berlusconi, in uno degli ultimi colloqui con la leader di FdI, avrebbe scolpito questo ragionamento: «Vedi, Giorgia, tu oggi sei la leader del centrodestra. Ma la tua leadership per fare il salto di qualità deve avere in pugno il Nord».
Le tre regioni strategiche rimandano a Lombardia, Piemonte e Veneto. Quando il Cavaliere era l’azionista di maggioranza del centrodestra, si vantava di avere un attacco a tre punte, il tridente del Nord: «Enzo Ghigo, Giancarlo Galan e Roberto Formigoni». Ghigo guidava il Piemonte, Galan il Veneto e Formigoni la Lombardia. Non erano certo anni facili per Forza Italia. Perché gli azzurri se la dovevano vedere con la Lega dell’Umbèrt. Il Carroccio in quelle tre regioni veleggiava in media attorno al 20%, con picchi del 26 in Veneto. Impresa, dunque, complicata per il partito dell’uomo di Arcore. «Ma Silvio aveva capito che per poter pesare, doveva avere la posizione di comando di quelle tre regioni locomotiva del Paese» osserva un forzista della prima ore.
Meloni ricorda bene quel colloquio con il fondatore del centrodestra. Ha conservato il consiglio del Cavaliere. Ecco perché, giorni fa, davanti allo stato maggiore di Fratelli d’Italia, ha ripetuto il medesimo ragionamento. «Mettere una serie di tasselli al Nord significa candidarsi a guidare la coalizione di centrodestra per i prossimi dieci anni». Altrimenti il consenso si sfalderà. Certo, se la dovrà vedere con il gotha di via Bellerio, rigorosamente anti-salviniano, che prima di ogni cosa all’indomani delle elezioni europee chiederà conto all’attuale segretario della Lega. Dopodiché Giorgetti, Zaia & Co, rimetteranno le basi per ricostruire il vecchio Carroccio nordista che di sicuro darà del filo da torcere alla leader di Fratelli d’Italia.
E così si torna al destino delle tre regioni del Nord. In Veneto voterà alla fine del 2025. Si tratta di un territorio che un attimo dopo la fine della Democrazia Cristiana si è convertito al leghismo. Luca Zaia è stato rieletto l’ultima volta nel 2020 ma stavolta non potrà più candidarsi proprio perché Meloni ha detto no al terzo mandato. In Veneto la presidente del Consiglio vorrebbe puntare sul fedelissimo Luca De Carlo di Pieve di Cadore, oggi senatore della Repubblica e presidente della commissione Agricoltura. Riuscirà a imporre il suo nome? Una risposta la daranno le europee. Se gli equilibri dovessero rimanere quelli attuali, Meloni avrà gioco facile con gli alleati.
Piemonte e Lombardia verranno dopo, prima però toccherà alla Liguria. Giorgia ha di fatto scaricato l’attuale governatore: «Toti ha detto che avrebbe letto le carte e avrebbe dato le risposte. Aspettare quelle risposte e valutare penso sia il minimo indispensabile per un uomo che ha governato molto bene quella Regione». In Liguria si potrebbe votare già in autunno. Meloni si siederà al tavolo da una posizione di forza per imporre una figura riconducibile a Fratelli d’Italia. Bocciata l’idea di Edoardo Rixi della Lega che in un’intervista alla Stampa ha evocato che «servirà una persona completamente diversa, che possa incarnare una rinascita ligure». Sul “nuovo”, Giorgia ci può stare purché sia di Fratelli d’Italia. Su queste note è partita la campagna del Nord di Meloni. Gli alleati sono avvisati. E sono soprattutto avvisati i leghisti d’antan, gli stessi a cui l’alleanza con gli eredi del Msi non è mai piaciuta.