Meloni concorda la resa di Sangiuliano, ora per il dopo Fitto evitare di passare dalla padella alla brace

Impossibile resistere altro tempo. Troppo insistenti le accuse, troppo forti le pressioni. Difficile fare finta di niente in queste condizioni, soprattutto per Giorgia Meloni, che pure solo pochi giorni fa aveva rifiutato le dimissioni del ministro. Che si mettesse male per Gennaro Sangiuliano si era già capito giovedì sera, quando l’impegno della presidente Meloni – attesa al G7 dei Parlamenti in corso a Verona – era improvvisamente sparito dall’agenda. Segno che la premier voleva monitorare la situazione da vicino, in nome di quella fiducia a termine che aveva concesso. Certo, a fare la differenza è stata sicuramente l’imprenditrice di Pompei, Maria Rosaria Boccia, impegnata in una sorta di caccia grossa al bersaglio, dalla video intervista con la Stampa, alla comparsata a In Onda.

La resa concordata da Meloni

Questa volta la leader di Fratelli d’Italia ha anticipato tutti, memore dello sbaglio di 48 ore prima con la prova d’appello concessa a Genny al Tg1, e ha convocato il suo ministro per concordare la resa sotto la forma delle dimissioni irrevocabili. Prima della messa in onda dell’attesa intervista della mancata consigliera su La7, che sarebbe stato solo l’ultimo supplizio per lo stesso titolare della Cultura. Si chiude così una vicenda politica, che avrà un costo significativo per Palazzo Chigi. Intanto il primo errore vero di Giorgia Meloni, che ha sottovalutato la marea montante contro il “Delon” del Collegio Romano, e ha pensato di correre ai ripari con la confessione del “reprobo” in diretta televisiva. Un escamotage che ha retto una manciata di giorni. Le disavventure sentimentali del ministro della Cultura hanno inciso molto di più delle montagne russe con l’Europa. Per non dire delle campagne insistenti del campo largo. Niente in confronto al “terremoto” che ha scosso la maggioranza in queste ore, con il pressing degli alleati per interrompere la tortura della goccia cinese che ha stremato e infine abbattuto il ministro.

Il successore era già allertato: al Collegio Romano salirà Alessandro Giuli che ha giurato in serata. Una fretta determinata dalla necessità di scansare un rimpasto, che la presidente del Consiglio ha sempre cercato di evitare. Il presidente del Maxxi (che già mercoledì era stato avvistato all’ingresso del ministero) non ha mai avuto veri concorrenti. Troppo eterogeneo Pietrangelo Buttafuoco, l’altro intellettuale chiamato in causa in queste ore. Giuli ha il pedigree giusto per far dimenticare gli anni burrascosi del suo predecessore: troppo ego e qualche caduta di troppo. La premier intanto oggi affronterà i giornalisti, intervenendo al Forum Ambrosetti per la prima volta da premier; ci andò nel 2022, prima delle elezioni ma praticamente con la vittoria già in tasca.

Il ruolo di Fitto in Europa riporta Meloni in serie A

Due anni fa sulle rive del lago di Como, la leader di Fratelli d’Italia rassicurò sulle sue posizioni atlantiste (stavolta incontra il presidente Zelensky, anche lui a Cernobbio), e annunciò la sua posizione sul Pnrr. “Non è un’eresia dire che il Pnrr sia perfezionato”, affermò prima di attaccare l’esecutivo Draghi. “Il problema non sarà rivederlo, ma saranno i ritardi che il governo ci ha lasciato”. Una posizione che potrà rivendicare oggi, non tanto per i ritardi che affliggono anche la sua squadra, quanto per la promozione piena che sta per ricevere in Europa. E con Raffaele Fitto che otterrà da Bruxelles proprio la delega sul Pnrr, oltre che l’agognata vicepresidenza esecutiva. Segno che Giorgia è tornata in serie A, e che Ursula von der Leyen è passata sopra allo sgarbo dei Conservatori che a luglio votarono contro la sua riconferma.

Sicurezza anche sul versante del doppio appuntamento d’autunno: il Piano strutturale di bilancio (atteso il 20 settembre) e la manovra. Non sarà un tesoretto, come ha specificato il ministro Giorgetti, ma il boom del gettito fiscale – registrato nei primi sette mesi dell’anno – è certamente una “mano de Dios”. Per il resto il tracciato è invariato: una manovra da 25 miliardi (ben 11 serviranno per il taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro), che non consentirà alla Lega di tornare alla carica con i suoi feticci elettorali. Una tranquillità condivisa anche dal segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, che dal palco del Forum sparge ottimismo: “Per fortuna l’economia del nostro paese va nella giusta direzione, c’è molto da fare ma in Germania siamo in una fase di stagnazione”. Consapevole di aver finalmente risolto il caso di fine agosto, ora Giorgia Meloni dovrà dedicarsi alla sostituzione di Fitto. Ed evitare di passare dalla padella a una nuova brace.