Nessuna pretesa
Meloni da Trump, tre punti fermi per tenere il confronto seguendo la ricetta di Gonzalez Laya

“Un amico che ci bullizza non è più un amico. E dal momento che i bulli capiscono solo la forza, d’ora in poi sono pronto ad essere molto più forte”. Qualche lettore ricorderà la scena del film Love Actually, dove un memorabile premier inglese interpretato da Hugh Grant non le manda a dire al presidente americano al suo fianco in conferenza stampa. Checché ne dicano i soloni di mezzo mondo, nessun capo di governo europeo ha finora osato dire nulla di simile a Trump. Non possiamo ragionevolmente aspettarci che lo faccia Giorgia Meloni. Ma alla vigilia della sua visita a Washington la settimana prossima, bisogna cominciare a chiamare le cose con il loro nome e a ragionare su come trattare con l’imprevedibile tycoon nel medio-lungo periodo.
Il passo indietro
Com’è noto, dopo una settimana con le Borse a picco e le cancellerie di tutto il mondo in fibrillazione a causa dell’imposizione unilaterale di dazi, mercoledì sera Trump ha annunciato improvvisamente di metterli in pausa per 90 giorni per consentire a tutti di trattare, ad eccezione della Cina che sembra rimanere la vera ossessione e rivale sistemico della furia trumpiana. È quasi avventuristico cercare di delineare un metodo in questa strategia, a parte forse la massima di Sun Tzu: “Confondi i tuoi nemici”. Eppure, volente o nolente, queste giornate concitate ci hanno forzato a concentrare le nostre energie su alcuni elementi di una tattica negoziale. Mi è capitato di ascoltarli e fissarli a una conferenza sul commercio che ho ospitato all’Istituto europeo di Firenze questa settimana con ex statisti e parlamentari europei e canadesi. Una delle relatrici, Arancha Gonzalez Laya, ex ministro degli Esteri spagnolo e una delle massime esperte mondiali di commercio estero, ha esposto una diagnosi lineare in tre semplici mosse che potrebbero tornare utili alla nostra presidente del Consiglio nel suo viaggio transatlantico.
Tre mosse utili a Meloni
Punto primo: restare uniti come europei. Nella decisione del 2 aprile sui dazi, Trump ha trattato tutti e 27 i Paesi membri della Ue allo stesso modo. Curioso non provare un banale divide et impera per chi come lui sembra avercela a morte con l’Unione europea. Abbiamo un vantaggio negoziale intrinseco nell’evitare fughe in avanti e nel placare mal di pancia interni, come quello francese sulla visita di Meloni, poi apparentemente rientrato. Punto secondo: dobbiamo mantenere fermezza. Possiamo negoziare i dazi su un prodotto piuttosto che su un altro e ci saranno tanti elementi intercambiabili che potremo mettere sul piatto nella futura trattativa. Ma ci sono cose che non devono essere toccate. Non possiamo accettare imposizioni sulle nostre politiche fiscali (cosa che Trump ha fatto erroneamente calcolando l’Iva come parte dei dazi) o sulla nostra integrità territoriale (cosa a cui continua ad alludere riguardo alla Groenlandia). Inoltre, al netto di critiche legittime al Green Deal europeo, è opportuno evitare di mostrare il fianco alla nostra controparte. I panni sporchi europei laviamoceli in casa a Bruxelles e non a Washington. Terzo: ricordiamoci delle altre alleanze. Gli Stati Uniti rappresentano solo il 13% delle importazioni mondiali. C’è il rimanente 87% del resto del mondo sul quale possiamo e dobbiamo concentrarci, cosa che il nostro governo ha subito segnalato all’indomani dell’imposizione dei dazi e ha confermato oggi con la visita ora programmata dal ministro degli Esteri Tajani in India e in Giappone.
Nessuna pretesa
Unità, fermezza e alleanze: abbiamo ora 90 giorni per attuare la ricetta di Gonzalez Laya e impostare il negoziato in un modo a noi più favorevole o almeno consono. Nel mondo dell’America First, non ci sono amici o alleati, ma al massimo soci in una transazione che avrà dei vincitori e dei vinti. Gli Stati Uniti sembrano avviarsi a grandi falcate a diventare una democratura, con molti squilibri e nessun freno inibitore. Ma a differenza di altri Paesi europei, l’Italia ha il vantaggio di non aver mai avuto la pretesa di far funzionare le democrazie altrui. Ha sempre avuto consapevolezza dei propri limiti e ha cercato storicamente di lavorare con tutti. Il lato positivo del caos trumpiano sta forse proprio nel farci finalmente apprezzare le opportunità che si aprono nel mondo post-americano. Cominciamo a farle girare a nostro favore.
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