Caro Direttore,
è sempre difficile misurare la qualità di un governo dopo soli due anni. E tuttavia non mi sentirei di affermare che il bilancio dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni sia “così così”, come titolava il Riformista – non riprendo il titolo per polemica ma perché questa era l’espressione usata sulla base di un’analisi di “Pagella politica” dove si spiegava che “21 promesse sono state portate a termine mentre per 20 il governo ha fatto poco o nulla per tenere fede alla parola data. L’attuazione di 52 promesse è ancora in corso, mentre il governo ha già compromesso l’attuazione di sette impegni”.
Dunque, si è realizzato solo il 21 per cento delle promesse: non benissimo, direi.

Ma poi bisogna mettersi d’accordo sul metro di valutazione. Quello di “Pagella politica” è del tutto asettico. Poi c’è il criterio di merito che tiene conto che non tutte le riforme hanno lo stesso rilievo: è del tutto evidente che la riforma delle pensioni non è equiparabile al rifacimento di una periferica strada statale o che la separazione delle carriere dei magistrati possa valere uno sconticino sull’Irpef.
Giorgia Meloni ha detto che in questi due anni ci sono state riforme “attese da decenni”. Ma quali, dove?

Zero riforme e logica del galleggiamento

Riforme istituzionali, semplificazione amministrativa, fisco, Rai, sanità, magistratura, ricerca, scuola, mercato del lavoro: in due anni, zero. È prevalsa la logica del galleggiamento, di un tirare a campare peraltro non privo di scivolate pericolose come sui diritti, dalle proteste alla legge sull’aborto. La legge di bilancio è una scatola vuota, una manovra totalmente priva di respiro e altre leggi significative non si ricordano.

Dopo due anni al punto di partenza

Le rendite, le incrostazioni, la “vecchiezza” di questo Paese: tutto questo non è stato minimamente scalfito. Forse perché le riforme sono troppo difficili a farsi per una classe di governo poco preparata come questa – si ha l’impressione che molti ministri, al di là di scandali e scandaletti, non padroneggino le materie di cui si occupano: altro che egemonia culturale.
Forse perché le riforme serie non portano voti, anzi, semmai incontrano resistenze da parte dei soggetti che difendo con le unghie e con i denti i privilegi che quelle riforme vogliono colpire. Forse – diciamo anche questo – perché dalle opposizioni o dai sindacati o dai famosi intellettuali non giungono stimoli, tantomeno sfide, sul terreno delle proposte.
Tutto quello che si vuole. Ma alla fine il risultato è negativo.
Caro Direttore, non credi che, come cantava decenni fa Francesco Guccini, ci troviamo “due anni dopo al punto di partenza”?