Riuscire a ‘incastrare’ lo scarso risultato elettorale della Lega nelle tessere del futuro governo, riuscendo allo stesso tempo ad impedire “con garbo” a Matteo Salvini di ottenere il ministero dell’Interno, dicastero che per il segretario del Carroccio è ormai una ossessione dopo la prima esperienza ai tempi dell’esecutivo giallo-verde, dei decreti Sicurezza e soprattutto dei processi in tribunale per il suo operato.

È l’ardua missione che avrà nei prossimi giorni Giorgia Meloni, presidente del Consiglio in pectore dopo il 26% ottenuto domenica alle urne, da leader assoluta del centrodestra conquistando oltre 10 punti in più rispetto alla somma di Lega e Forza Italia.

A scriverlo oggi sono sia Repubblica che Corriere della Sera, che rivelano come la Meloni pur col profilo bassissimo ha già chiarito con i suoi fedelissimi che non cederà a ‘ultimatum’ da parte dei suoi alleati, rimasti scottati dall’esito del voto che li ha visti così lontani dalla vincitrice. I risultati delle urne sono così chiari che “non accetterò compromessi e non mi presterò a giochini”, avrebbe spiegato la futura premier ai suoi.

Insomma, nessuna seconda opportunità al Viminale per Salvini: un dicastero off-limits perché vede il leader della Lega sotto processo per il caso Open Arms, scoppiato proprio per il comportamento tenuto quando Salvini era ministro, e perché vi sarebbe anche il rischio di obiezioni da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sulla falsariga di quanto già accaduto ai giallo-verdi quando proposero al ministero dell’Economia il no-Euro Paolo Savona.

Quali dunque le alternative? Due le opzioni: portare al Viminale un nome di estrazione politica, da pescare all’interno del Carroccio, o un ‘tecnico’ di area. Sarebbe il caso di Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Salvini, o l’ex di Roma Giuseppe Pecoraro, considerato invece più vicino alla Meloni.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia