Forse per la prima volta, nella lunga conferenza stampa di ieri, la presidente Giorgia Meloni si è personalmente espressa, con chiarezza e determinazione, sulle prospettive di riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario: carriere separate tra inquirente e giudicante, Consigli Superiori separati, concorsi separati. Questa riforma, ha detto la premier, “serve a rafforzare la terzietà del giudice”; e l’intento è quello di andare avanti “con determinazione e con velocità”.

Parole chiare, ed una assunzione di responsabilità che sembra inequivocabilmente consacrare la priorità politica che governo e maggioranza (su questo allargata ai parlamentari di Italia Viva, +Europa ed Azione) assegnano a questa epocale riforma della giustizia, quasi integralmente mutuata, ricordiamolo, dal testo della legge di iniziativa popolare promossa dall’Unione delle Camere Penali Italiane, e sottoscritta da oltre 72mila cittadini.

Merita apprezzamento anche la critica all’atteggiamento di chiusura ideologica della Magistratura associata, che vive ogni riforma non gradita con “toni apocalittici, sempre come stesse per finire il mondo, sempre come fosse un attacco”. Diamone dunque atto con soddisfazione, e senza riserve.

C’è solo un’ombra, in tutto ciò, ed è il riferimento anche all’altra riforma costituzionale, quella cosiddetta del premierato; non per il merito di essa, che può piacere o meno, ma perché due riforme costituzionali (e due referendum confermativi), in questo nostro paese, rischiano di essere tante, forse troppe, con il rischio, tutt’altro che remoto, che non se ne faccia poi nessuna. Che dire? Confidiamo che la priorità sia e resti la riforma dell’ordinamento giudiziario, che il paese attende da vent’anni.

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