Candidature blindate con mesi di anticipo. Pioggia di soldi sui territori che vanno al voto. La maggioranza ha fatto subito tesoro dello choc-Sardegna (dove comunque i Fratelli d’Italia hanno intenzione di chiedere il riconteggio delle schede). Giorgia Meloni ha fatto un atto di umiltà e ha fatto cadere i veti sulle candidature delle prossime regionali ingoiando due bocconi per lei amari: Vito Bardi (Forza Italia) sarà confermato alla guida della Basilicata (al voto il 21-22 aprile) e Donatella Tesei (Lega) sarà la candidata in Umbria in autunno. In nome del riequilibrio delle forze in campo, la premier, che voleva maggiore rappresentanza alla guida delle regioni, ha sprecato il jolly Sardegna ed è stata costretta a fare un passo indietro sia in Basilicata (fino a sabato al massimo avrebbe accettato un civico) che in Umbria dove non aveva alcuna intenzione di confermare la governatrice leghista. Più facile la partita su Alberto Cirio in Piemonte perché nessuno ha realmente pensato di sostituirlo. Comunque, siccome fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, l’accordo è stato firmato su carta mercoledì sera dopo almeno 24 ore di trattative e incertezze. Scripta manent e non ci si pensa più. “Per l’Umbria poi comunque ne riparliamo dopo le Europee”, suggerisce una fonte di Fratelli d’Italia alludendo al fatto che se a giugno Lega e Salvini dovessero portare a casa tra il 7 e l’8% come suggerisce qualche sondaggio, gli accordi di oggi diventano carta straccia o poco più. Nel patto delle regionali la Lega avrebbe voluto inserire anche il via libera per il Veneto al voto nel 2025: se proprio non è pensabile il terzo mandato per Zaia, almeno fare in modo che il partito che esprime il governatore uscente possa indicare il successore. Irricevibile per Meloni. Il dossier è al momento congelato.
Le energie sull’Abruzzo, il finanziamento della ferrovia Roma-Pescara
Adesso occorre concentrare le energie sull’Abruzzo al voto il 10 marzo. E qui ieri la premier ha fatto un vero gioco di prestigio. Superando in qualche modo Salvini che sul genere è di solito imbattibile. In un’affollata riunione a palazzo Chigi del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), la premier ha autorizzato una pioggia di finanziamenti da spendere in Abruzzo per alcune infrastrutture chiave. Una di queste è la “mitologica” ferrovia Roma-Pescara. Se ne parla da decenni ma non s’è visto un binario. Per chi non fosse pratico, oggi in Abruzzo si va in auto o in corriera. Il treno per andare a Pescara impiega tra le 4 e le 5 ore. L’opera era prevista nel Pnrr ma è sparita la scorsa estate durante la famosa revisione per mancanza di fondi e complessità varie. Ieri il colpo di scena togliendo al ministro delle Infrastrutture, in campagna elettorale in Abruzzo a giorni alternati, il piacere di poter fare l’annuncio. Lo ha fatto Meloni lasciando i dettagli al sottosegretario Morelli, fedelissimo di Salvini. “Il finanziamento della ferrovia Roma-Pescara, un’opera di rilevanza strategica perché aiuterà a colmare il divario infrastrutturale che esiste oggi tra il Tirreno e l’Adriatico”, ha premesso la premier. “Nel Pnrr erano previsti 620 milioni di euro per quest’opera, del tutto insufficienti”.
Nuove risorse economiche
Da qui la decisione di toglierli insieme ad altri per un valore di circa 13 miliardi. Ma ecco la soluzione secondo il più classico degli schemi: il gioco delle tre carte. “Abbiamo dovuto stralciare dal Pnrr il finanziamento alla Roma-Pescara ed individuare fonti alternative per assicurare il completamento dell’opera – ha spiegato la premier – Grazie al lavoro dei ministri Salvini e Fitto, oggi possiamo nuovamente assegnare quelle risorse che prendiamo dal Fondo di Sviluppo e coesione 2021-2027. Copriamo così tutto il finanziamento che serve e avanzano anche cento milioni”. In tutto si tratta di 951 milioni destinati ai lotti 1 e 2 della linea Roma-Pescara. I miracoli a dieci giorni dal voto sono sempre uno spettacolo. Che le opposizioni, in questo caso l’onorevole D’Alfonso (Pd) che da ex governatore è persona informata sui fatti, svelano in quattro e quattr’otto. “La verità è che mancano ancora 5 miliardi 585 milioni per completare il finanziamento dell’intera opera, il cui costo complessivo ammonta a 6 miliardi 305 milioni. E mancano ancora 745 milioni per completare la restituzione dei fondi tagliati all’opera l’anno scorso”. Nell’estate 2023, infatti, il governo aveva tolto alla regione Abruzzo un miliardo e 465 milioni. Adesso ne sono tornati meno di un milione. D’Alfonso è un fiume in piena: dal suo insediamento il governo “ha solo tagliato risorse all’Abruzzo: nell’ultima Legge di bilancio ben 350 milioni – sono volati dall’alta velocità sulla linea adriatica a quella sulla tratta Milano-Genova; la revisione del Pnrr ci ha tolto 555,4 milioni di euro e annullato ben 1.861 progetti”. Con una mano si dà, con l’altra si leva. Parole durissime quelle dell’ex governatore Pd. Rispetto alle quali il presidente Marsilio tace. Così come non ha mai detto una parola in questi mesi sulla legge sulle Autonomie e sulle risorse del Pnrr che Roma ha tolto al sud Italia perché “lento, incapace e sprecone”. A volte anche i soldi, specie se promessi, possono diventare un boomerang.