Questo 2025 sarà pure il caos geopolitico, come dicono in molti, ma ha una logica ferrea. Gli attori sono due potenze nucleari. La prima mira a ricostruire il suo impero perduto, l’altra intende rafforzare il proprio. Putin guarda agli storici confini sovietici e invade l’Ucraina, Trump guarda all’Indo-Pacifico e intima all’Europa di farsi carico della propria difesa. E, di fronte alla Russia e all’America che si parlano a quattr’occhi, di fronte cioè allo spettro di Jalta, il Vecchio Continente reagisce. Emerge un’Europa con l’elmetto, inglesi, francesi, tedeschi, polacchi, nordici, un grappolo di “volenterosi” pronti a difendere Kiev boots on the ground e a porsi come deterrenza strategica contro Mosca. Ed emerge, a Bruxelles, l’ambizioso progetto che sollecita i Ventisette a un riarmo che compensi il disimpegno americano e metta le basi di un esercito comune. E dopotutto è questo che chiede la Casa Bianca, che infatti mantiene la copertura nucleare del continente. Ed è questo che permette allo stesso Zelensky di contare ancora sulla solidarietà atlantica, limitando i danni annunciati di una pace modello Jalta. Malgrado il caos, insomma, l’Occidente sembra resistere e l’Europa sembra assumersi le proprie responsabilità. Londra smentisce la Brexit e torna a casa. Berlino imbocca inusitatamente la strada del debito pubblico. Il “debole” Macron resiste agli attacchi delle estreme. E il Parlamento di Strasburgo approva a larga maggioranza il piano di von der Leyen, mettendo assieme popolari, socialisti, liberali, verdi, conservatori. Quasi una Union Sacrée. Quasi. Perché all’appello manca uno dei padri fondatori. Un vaso di coccio che tale non è per un qualche destino maligno, per chissà quali vizi connaturati, quanto piuttosto a causa dei gravi e pervicaci errori del suo ceto politico.

Giorgia Meloni non è in grado di iscrivere il paese nel club dei “volenterosi”

Sì, sono le coalizioni e i partiti italiani, rompendosi in mille pezzi, a compromettere gli interessi del paese di fronte all’Europa e alla stessa America di Trump. Come racconta con ogni evidenza la cronaca. Pur allineata a Bruxelles (e all’Occidente atlantico) fin dai tempi di Draghi, Giorgia Meloni non è in grado di iscrivere il paese nel club dei “volenterosi”, avendo la spina nel fianco di una Lega tenacemente euroscettica e ambiguamente filorussa. Pur sollecitata da una numerosa pattuglia di appassionati europeisti, Elly Schlein finisce per negare il proprio voto al ReArm Europe Plan, avendo la spina nel fianco di un movimento grillino che si erge a campione della guerra alla guerra. È il trionfo amarissimo di una demagogia che incatena maggioranza e opposizione agli umori di un’opinione pubblica pigramente neutralista (a destra) o fieramente pacifista (a sinistra).

L’Italia rischia di tornare l’Italietta d’antan

Fatto sta che, mentre non sappiamo dove andrà a parare la trattativa fra Trump e Putin, né il ruolo che i “volenterosi” e l’Unione riusciranno a giocarvi, quel che sappiamo per certo è che l’Italia rischia di tornare l’Italietta d’antan. Che l’Italia rischia di tornare l’Italietta d’antannelle secche di una coalizione insostenibilmente disomogenea. Che la possibilità della sinistra di candidarsi in modo credibile al governo del paese rischia di sbriciolarsi di fronte alla propria palese immaturità geopolitica. É lo spettacolo di una classe dirigente attardata nei giochi fuori tempo massimo della politique politicienne, del tutto incapace di gestire le prevedibili tensioni di un’opinione pubblica messa di fronte al ritorno della guerra, pronta a barattare le difficili scelte imposte da una crisi epocale con la ricerca di qualche voto in più.

Una classe dirigente che sembra non comprendere come allo stesso tycoon di Washington interessi l’Europa con l’elmetto e non un paese che si attorciglia sulle parole per rattoppare le proprie croniche divisioni. Servirebbe coraggio, sguardo lungo, responsabilità. Servirebbe – in una simile drammatica congiuntura – sensibilità nazionale. Accapigliarsi sul Manifesto di Ventotene è l’esatto opposto. È un rito ideologico vecchio di ottant’anni. Un insopportabile déjà vu.