La manovra alle porte. La guerra in Medio Oriente. L’Europa che riparte. I migranti in Albania. Le temperature autunnali scendono ma l’agenda della politica si fa rovente. Ieri a Roma la premier Giorgia Meloni si è sdoppiata tra Camera e Senato: a Montecitorio ha depositato la relazione che ha illustrato a Palazzo Madama, dove ha aperto il dibattito sulla posizione del governo italiano nella due giorni del Consiglio Europeo a Bruxelles. Comunicazioni bollinate dalla maggioranza che le ha approvate con 104 voti favorevoli, 65 contrari e 2 astensioni. Poi, in serata, ha dato il via a un Consiglio dei ministri a tratti teso, dove non sono mancate le scintille tra Lega e Forza Italia.

Dai migranti alla guerra

Le comunicazioni della premier hanno dribblato le polemiche sui migranti, rivendicando – ancora a titolo esplorativo – l’inaugurazione del centro per i migranti in Albania, e si sono concentrate sui fronti di guerra. In Ucraina «siamo il modello seguito dall’Europa», in Medio Oriente posizione ferma con gli amici di Israele e per un ripensamento, in sede Onu, della missione Unifil. Nel merito, le parole su Israele sono state inequivocabili: «Mi considero e considero l’Italia un’amica di Israele, penso per questo che si debba anche avere il coraggio di dire quando le cose non funzionano, come fanno normalmente gli amici. Io ovviamente comprendo le ragioni di Israele che ha bisogno di impedire che quanto è accaduto lo scorso 7 ottobre possa ripetersi. Questo non vuol dire ovviamente che io sia d’accordo con tutte le loro scelte», ha detto la premier. E sulle manifestazioni Propal – l’ultima, non autorizzata, il sei ottobre scorso ha mandato in ospedale due dozzine di agenti – la premier è stata altrettanto diretta: «E’ intollerabile che decine di agenti vengano feriti durante una manifestazione di piazza».

Clima teso nelle piazze

Il clima teso nelle piazze riflette le intemperanze e la scarsa responsabilità di qualcuno in aula. Il M5S e il Pd tornano sul riconoscimento urgente di uno Stato di Palestina, facile slogan che si infrange contro le realtà che incarnano il potere politico in quei territori, Hamas e Hezbollah. Se la priorità è disarmare il terrorismo, difficile pensare di regalare blasoni prima di aver messo in sicurezza l’area.
D’altronde la Presidente del consiglio andrà a toccare con mano la situazione del nostro compound nella missione Unifil: «Andrò in Libano e il ministro Tajani si sta preparando per andare in Israele e Palestina la prossima settimana», ha comunicato in aula ieri. A margine, è stata approvata una risoluzione di maggioranza che non scontenta, a ben guardare, le opposizioni: «Proseguire nell’impegno diplomatico per una soluzione alla crisi di Gaza con l’obiettivo di giungere ad un cessate il fuoco immediato, al rilascio di tutti gli ostaggi e ad un intervento umanitario su larga scala in linea con la Risoluzione 2735». E ce n’è un’altra – sempre presentata dal centrodestra ma ancora più ecumenica – approvata con il favore, si potrebbe dire, dell’Europa: impegna il governo a “lavorare con gli altri Stati membri e con le Istituzioni europee per il rilancio della competitività europea esaminando con un approccio pragmatico le proposte contenute nel ‘Rapporto Letta e nel ‘Rapporto Draghi’».

Le risposte

E dato che nel Consiglio Europeo si tratterà anche di manifestare il pieno sostegno alla rosa dei candidati Commissari proposti da Ursula von der Leyen, Meloni ha rivolto un appello all’unità che non tutti sembrano pronti a cogliere. «In Italia facciamo opposizione a Fitto», ma sulla sua nomina a commissario europeo «sapremo comportarci di conseguenza difendendo gli interessi italiani», annuncia il Pd replicando a Meloni. Orientato a votare contro il Commissario italiano rimane il Movimento 5 Stelle di Conte, secondo cui sui commissari «l’Italia ha avuto il minimo sindacale, ed è stato l’atteggiamento del governo a creare una condizione per cui non si è riusciti ad avere molto di più». Iv con Renzi si dice «d’accordo con il richiamo all’unità nazionale fatto da Meloni», che però «non può dare lezioni». Posizione analoga è stata espressa anche dal leader di Azione Calenda.
Nelle repliche al discorso di Meloni, i leader del Pd e del M5S si sono sfidati in un derby tra chi gridasse di più. Su chi alzasse più i toni. Ha iniziato Giuseppe Conte: «Presidente Meloni lei oggi ci chiede di appoggiare Fitto ma quando si tratta di Gentiloni diceva che era un inciucio. Fitto è il meglio del peggio e quindi è pessimo». Ma «vogliamo in Europa uno che dovrebbe sorvegliare l’attuazione dei Piani degli altri Paesi quando non è stato buono a sorvegliare l’attuazione del suo Pnrr?». E poi: «In merito alla guerra in Ucraina, Zelensky l’altro giorno ha dichiarato, oggi più in difficoltà che mai sul fronte armato, che ha un piano per la vittoria. E lei vuole continuare a scommettere sulla vittoria dell’Ucraina sulla Russia? Ma la smetta di scommettere, perché questa guerra a oltranza sta producendo morti, distruzione, sta producendo una vertiginosa corsa al riarmo, sta addirittura producendo grandissime difficoltà per la nostra filiera, per le nostre imprese, con l’aumento fino al 40% dei costi energetici comparati alle altre imprese europee». E Schlein, rivolta a Meloni, ha rincarato: «Lei fa la forte con i deboli e la debole con i forti. Ha fatto un attacco da bulla a Sea Watch. La solidarietà non è un crimine. Lei alza la voce con Sea Watch e non con Netanyahu». E poi: «Siamo vicini al contingente di Unifil, chi attacca l’Onu attacca il mondo. Le chiediamo, presidente, di unirsi all’embargo totale delle armi inviate a Israele. Non ci basta la sua risposta da funzionario ministeriale. Serve un immediato cessate il fuoco a Gaza e ora in Libano. E tocca fare – ha proseguito – una specifica: noi l’antisemitismo l’abbiamo sempre condannato al contrario della giovanile del suo partito».

La manovra

Ieri sera, luci accese fino a tardi a Palazzo Chigi. Un Consiglio dei ministri niente affatto banale, né agevole: uno schema di manovra quasi definitivo sarebbe approdato sul tavolo tondo del Governo. Includeva, a quanto abbiamo appreso, anche il decreto legislativo ‘sulla revisione delle disposizioni in materia di accise’. «Non si toccheranno le tasse», il mantra che ha contrassegnato il vertice del governo. Che già nelle more aveva fatto parlare di un contributo di 3-4 miliardi di euro dal settore bancario alla manovra.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.