Meloni, la leadership consolidata: dall’isolamento politico alla vittoria europea. Oggi un’alternativa non esiste

Veni, vidi, vici è forse la più geniale frase che l’uomo abbia concepito, e del resto l’uomo a cui è attribuita non era certo da meno. Come Cesare anche Giorgia Meloni può oggi pronunciare quelle parole, consapevole di essere riuscita nel suo intento al di là dei dubbi, dei timori e soprattutto delle solite analisi così faziose da non cogliere il cambiamento che è in atto in Italia e in Europa. La nomina di Fitto, l’asse con gli Stati Uniti e l’essere lì in testa ai sondaggi coronano una leadership che si consolida giorno dopo giorno. Oggi un’alternativa non esiste: la sagoma che viene definita troppo enfaticamente “campo largo” appare come una somma di partiti, dietro la quale si celano visioni differenti del paese. E gli italiani, si sa, in politica sono accorti e non amano i salti nel vuoto. Del resto l’attuale centrosinistra ricorda una copia malconcia dell’Unione di Romano Prodi, un’alleanza che teneva dentro – per usare le parole allora lapidarie di Gianfranco Fini – “i trotzkisti con i nostalgici della monarchia sabauda”, con l’epilogo che ben tutti conosciamo.

La credibilità

Giulio Andreotti ricordava una lezione fondamentale di Alcide De Gasperi: lo statista trentino sosteneva la necessità di “dare più importanza alla politica estera che non alla politica interna, e cioè condizionare la politica interna alla politica estera e non viceversa”. Sembra che Meloni applichi questo concetto alla lettera. Prima ancora di vincere le elezioni ha capito l’importanza della politica estera, del costruire rapporti solidi, e soprattutto ha compreso che bisogna stare al tavolo senza farsi ghettizzare o rinchiudere su barricate ideologiche. Cammino che non è stato certo privo di ostacoli, che però la premier ha abilmente superato. Su tutti il più difficile e spinoso è stato quello di mantenere la coerenza con le proprie idee e con quanto professato, al netto dei doveri da capo del governo. Riuscendo a mantenere la sua parola di leader politico, senza danneggiare, ma al contrario rafforzando il ruolo dell’Italia.

Il caso Fitto

La nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione europea ne è la dimostrazione. Meloni ha ottenuto il risultato senza piegarsi, senza cedere politicamente su nulla, muovendo abilmente le pedine europee, approfittando della sua forza elettorale rispetto agli altri leader ridimensionati dalle urne. Secondo molti osservatori, Meloni a giugno si trovava in difficoltà e addirittura destinata a un “isolamento politico” per i suoi “no” al metodo di selezione delle cariche europee. Eppure oggi festeggia la sua vittoria.
Il segreto del suo successo probabilmente è anche questo: tenere il punto fermo, saper dire di “no” e costruire le proprie legittime richieste intorno a quel “no” politico. Con il suo triplice ruolo di presidente del Consiglio, leader di Fratelli d’Italia e presidente dei Conservatori europei. Che fanno sempre più asse a destra con i popolari nel Parlamento Ue. Sempre nell’ottica della percezione, che in politica conta, Meloni ha saputo dimostrare di essere influente, trasmettendo un’immagine di forza all’Italia.

Gli alleati

La sua forza ovviamente si riflette anche sul suo ruolo di leader della coalizione di centrodestra, ruolo a cui a oggi non può aspirare nessun altro, provocando legittimamente qualche amarezza in altri. Ma questa è la legge della politica, fondata sul binomio fatale dei risultati elettorali e del non commettere errori. Binomio che è stato letale per Matteo Salvini, che fu leader del centrodestra per una stagione breve e che per la politologia oggi e per la storiografia domani sarà probabilmente considerata una fase di transizione.
Diverso il discorso per l’altro alleato, Antonio Tajani, che prima ha lottato per la sopravvivenza e che oggi –dopo aver superato il rischio del baratro post berlusconiano – incarna un ruolo non alternativo alla Meloni, ma di “asse” con la premier. Compito a cui dovrebbe definitivamente conformarsi anche Salvini. Perché, parafrasando Hegel, lo “spirito del mondo” si poggia su un “capo” alla volta. E oggi, con buona pace per tutti, è su Giorgia Meloni.