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Economia
Meloni, la manovrina senza coraggio. Tagli, mancette e un po’ di debito
Il governo preferisce tirare a campare e mettere la polvere sotto il tappeto, piuttosto che incidere sull’economia del paese. I problemi? Rinviati al 2026, come i 5 miliardi mancanti alla sanità
Un miliardo di euro dalle detrazioni fiscali, aumento della ritenuta per le criptovalute, bonus nascite da mille euro, allargamento della platea del superbonus, un po’ di fumo per le anticipazioni bancarie camuffate da contributi. E ancora: una estrazione in più del lotto a settimana, il mancato piano assunzioni in sanità e qualche taglio nella scuola più la mancetta di tre euro per le pensioni minime. Il testo della manovra finanziaria, la seconda firmata totalmente dal governo Meloni, arriva in Parlamento con 144 articoli e la dote di spesa di 28,5 miliardi di euro. Un provvedimento senza mordente che non risolve nessuno dei nodi aperti nel sistema economico nazionale, che sceglie di non decidere su come distribuire gli aiuti ai cittadini e soprattutto che rinvia i problemi al 2026. Come se la polvere nascosta sotto il tappeto non dovrà poi essere spazzata via non senza dolore.
Misure
Anziché parlare chiaro al proprio elettorato e al Paese, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha firmato un provvedimento che sembra non avere alcuna connotazione politica. Gran parte delle risorse sono destinate a rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale con un allargamento ad altri 1,3 milioni di lavoratori e a riproporre il taglio delle aliquote Irpef per un totale di 17 miliardi. Per coprire tutte le misure, il governo ricorrerà ad un extra deficit di 9 miliardi di euro. Questo è uno dei temi più delicati che dovrà avere il via libera dalla Commissione europea. Una volta ottenuto l’ok da Bruxelles, si certificherà il rinvio dei problemi alla fine dell’anno prossimo.
Basti pensare, infatti, che per il 2026 sarà necessario trovare 5 miliardi di euro per finanziare la sanità, visto che per l’anno in corso le risorse aggiuntive sono solo 1,3 miliardi, e 12 miliardi di euro per adempiere al Patto di stabilità e crescita. Cioè già 17 miliardi di euro senza nemmeno che inizi il nuovo anno. Chissà se adesso Giorgia Meloni non rimpianga il non aver messo il veto sul nuovo Patto di Stabilità che torna alla logica ragionieristica dei numeri duri e puri. E che importa se poi a soffrire sono i cittadini. Le vere battaglie in Europa non si combattono: si sbraita solo su quei provvedimenti con forte impatto mediatico.
Sanità e scuola
I provvedimenti più controversi riguardano la mancanza del piano straordinario di assunzioni in sanità, annunciato proprio dall’Esecutivo nei giorni scorsi, e le risorse per il rinnovo dei contratti che aumenterebbero gli stipendi per i camici bianchi di pochi euro al mese. La cosa è talmente indigesta che la Federazione dei Medici ha già proclamato uno sciopero. Nascosta tra le pieghe dei 144 articoli, c’è poi un provvedimento che blocca il turn over nella scuola causando la diminuzione dei docenti di circa 5 mila unità. E anche in questo caso i sindacati sono sul piede di guerra, visto che un docente su quattro in Italia è precario.
Banche e detrazioni
Non meno indigesto è il “contributo” che gli istituti di credito dovranno versare al governo. Si tratta di quattro miliardi di euro in due anni. Attenzione, però: non è una nuova imposta, né una rimodulazione di tasse esistenti. Si tratta solo di un anticipo di cassa che le Banche recupereranno a partire dal 2027 sui tributi dovuti. Insomma, tanto fumo e zero arrosto. Da registrare un mezzo passo indietro sulle detrazioni. Il limite è stato spostato a 75 mila euro di reddito; senza alcun tetto restano le detrazioni per gli interessi sui mutui e le spese sanitarie. In ogni caso, il governo prevede di ottenere un miliardo di euro dalla riorganizzazione degli sconti fiscali. Qualcuno, dunque, dovrà pagare. Il profilo è semplice: single o famiglia senza figli, con redditi medio alti.
Nodi irrisolti
Restano sul tavolo i tanti nodi del sistema Italia. Per le pensioni non c’è alcun rinvio per le eccezioni previste alle leggi vigenti ma solo un bonus per chi decide di non lasciare il lavoro. Sulla produttività, il ricorso ai soliti incentivi per le aziende, come gli sgravi per le assunzioni o per l’acquisto di macchinari ma che negli ultimi venti anni non hanno consentito di aumentare il valore delle produzioni e dei salari. Per non parlare della spending review. In questo caso l’Esecutivo ha preferito affidare ai ministeri un taglio lineare che deve fruttare 3 miliardi. Poteva essere l’occasione per un serio cambio di mentalità, invece si è preferito “vivacchiare” con una legge finanziaria che cerca di non scontentare anzitutto i maggiori azionisti del governo e poi qualche elettore più attento. Insomma, solo fumo altro che rivoluzione.
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