Dopo la Camera, Giorgia Meloni e il suo governo ottengo la fiducia al Senato. Sono 115 i voti a favore, 79 i contrati e 5 gli astenuti a Palazzo Madama nella votazione che chiude di fatto i conti aperti lo scorso 25 settembre con la vittoria del centrodestra nelle urne.

Un voto, quello odierno al Senato, segnato in particolare da tre interventi, oltre a quello della stessa presidente del Consiglio.

Il primo è quello di Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva usa il suo discorso anche come una sorta di ‘regolamento di conti’ col Partito Democratico. È infatti alle altre opposizioni che l’ex premier dedica le parole più dure, tanto da far sorridere più volte Giorgia Meloni.

Ironia scatenata dalle parole di Renzi nell’attaccare i Dem sulla questione femminile. “Faremo opposizione a viso aperto. Con la politica, non con il vocabolario. Tutto si può dire sulla presidente Meloni, ma attaccarla sulla rappresentanza femminile non è ridicolo, è masochismo”, le parole di Renzi.

Quindi le altre accuse sulla questione del ‘merito’, denominazione finita al ministero dell’Istruzione. “Agli amici del Pd: non riesco a capire come sia possibile che il primo argomento di discussione sia attaccare la maggioranza per il merito, per il nome dato a un ministero. Lo dico a Simona Malpezzi, che era una pasdaran del fatto che bisognasse inserire il merito nella buona scuola”, ha ricordato Renzi.

Il numero uno di Italia Viva ha quindi aperto ad una sponda al governo sulle riforme istituzionali, in particolare sul tema del presidenzialismo. “Lei (rivolto a Meloni, nda) ha fatto un’apertura importante sulle riforme costituzionali. Se c’è un’apertura sulle riforme istituzionali, un no a prescindere per me è sbagliato”, ha chiarito l’ex premier.

Quindi l’intervento di Silvio Berlusconi, che dopo 9 anni torna a parlare da quel Senato da cui era stato cacciato per la condanna e l’applicazione della legge Severino. Il presidente di Forza Italia si è lasciato andare ad un discorso meno aggressivo rispetto a quanto si potesse immaginare alla vigilia: apre annunciando la nascita del suo 17esimo nipotino, ma il punto chiave è stato quello della rivendicazione dei suoi meriti nella nascita di questo esecutivo.

La coalizione al governo è infatti quella “a cui ho dato vita 28 anni fa e che da allora ad oggi ha scritto pagine fondamentali nella storia della Repubblica”, ha detto Berlusconi rivendicando anche lo sdoganamento degli eredi dell’Msi, il Movimento Sociale Italiano post-fascista, da Gianfranco Fini a Giorgia Meloni. “Se oggi per la prima volta alla guida del governo del Paese, per decisione degli elettori, c’è una esponente che viene dalla storia della destra italiana, questo è possibile perché 28 anni fa è nata una coalizione plurale, nella quale la destra e il centro insieme hanno saputo esprimere un progetto democratico di governo per la nazione“, ha infatti aggiunto il Cav.

Nessuno scontro o contrapposizione sulla composizione dell’esecutivo, su cui Berlusconi ha dovuto incassare i ‘no’ alla fedelissima Ronzulli e alla casella della Giustizia, andata a Nordio. Quindi il passaggio delicato sull’Ucraina. “Io sono sempre stato un uomo di pace e i miei governi hanno sempre operato per la pace e sempre in pieno accordo con i responsabili di governo dell’Europa, della NATO e degli Stati Uniti. Come ho avuto modo di ricordare solennemente davanti al Congresso Americano”, ha ricordato Berlusconi, evocando ancora una volta il suo ruolo nel trattato di Pratica di Mare del 2022 fatto firmare a Putin e Bush.

Quindi le parole di Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, che avranno provocato tensione e apprensione alla premier. Il fedelissimo di Matteo Salvini, tra i banchi del governo mentre il suo capogruppo parlava, ha aperto con Meloni due fronti.

Il primo è il posizionamento internazionale, che per il presidente del Consiglio, come più volte ribadito, è saldamente ancora all’atlantismo in particolare come risposta all’invasione russa in Ucraina, rispettando le decisioni di quest’ultima sulle trattative di pace.

Diverso invece il discorso di Romeo, che pur sottolineando come “l’Italia è nella Nato e la collocazione atlantica non è mai stata messa in discussione”, dall’altra parte chiede al presidente del Consiglio di “impostare anche un discorso di negoziati di pace”. “Si fa fatica a sentire che decideranno gli ucraini. Certo, va rispettata la loro volontà ma meglio dire che decide la comunità internazionale nell’interesse dell’Ucraina”, le parole che aprono un fronte interno alla maggioranza.

Quindi sul finire del suo intervento, la seconda stoccata alla presidente del Consiglio. Sul mandato dell’esecutivo e dell’inquilina di Palazzo Chigi, Romeo ha infatti ricordato, con un chiaro avvertimento, che “la durata di un governo è proporzionale alla capacità di tutti di fare squadra”.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia