Ripartire da Varsavia. Con tre possibili obiettivi: recuperare l’agenda internazionale perduta la scorsa settimana (Metsola a Roma e conferenza di Monaco) causa influenza;dimostrare la centralità dell’Italia e del suo governo nello scacchiere europeo ed internazionale essendo nel posto giusto al momento giusto, tra Varsavia e Kiev, nell’anniversario del primo anno di guerra; provare ad andare oltre, stabilizzandole, le tensioni interne a Fratelli d’Italia e alla sua maggioranza.

Una missione con tanti significati quella iniziata ieri da Giorgia Meloni a Varsavia. A vederla parlare accanto a Mateus Morawiecki, il primo ministro polacco, nel palazzo del Governo uno potrebbe anche farsi suggestionare dall’idea di un asse Roma-Varsavia contro, o almeno accanto, all’asse Parigi-Berlino. Di sicuro il Partito conservatore europeo ha in Polonia e Italia i suoi azionisti di maggioranza. E questo riguarda molto da vicino Parigi, Berlino e tutti i 27 paesi europei chiamati alle urne nel maggio 2024. Meloni è arrivata fin qua con l’obiettivo primario di cancellare l0incidente tra Berlusconi e Kiev. Missione compiuta, al momento.

“Il governo italiano e polacco forniscono insieme le armi, abbiamo parlato dei futuri rifornimenti di armi all’Ucraina affinché ci sia pace e stabilità” ha sottolineato il primo ministro polacco. Buona parte del bilaterale è stato dedicato al settimo pacchetto di invio di armi a Kiev (è stato appena licenziato il sesto) che dovrebbe prevedere anche attrezzature per i civili. Un’altra delle missioni di questo viaggio era, appunto, ribadire la centralità dell’Italia nello scacchiere europeo per un nuova idea di Europa. Quella dell’asse Roma-Varsavia può essere una suggestione ma ieri ha funzionato. Sia Meloni che Morawiecki hanno mandato segnali precise. “Vogliamo un’Europa che sia un forte soggetto politico ma non federata né centralista”.

Per essere chiara, Meloni ha aggiunto con un pizzico di sovranismo non richiesto: “Noi non siamo niente senza le nostre identità, senza le nostre eccellenze e continueremo a difendere il diritto di bere un buon bicchiere di vino e mangiare carne che non sia sintetica”. Morawiecki ha poi alzato una palla facile da schiacciare per Giorgia Meloni sul dossier immigrazione: “Il dibattito deve essere sulla dimensione esterna dei confini europei sapendo che i flussi migratori possono essere usati anche come arma di pressione. Polonia e Italia ne sanno qualcosa”. Musica per le orecchie della premier italiana: “Un’Europa seria si deve occupare di questi temi con pragmatismo così come si deve occupare di difendere le sue tante specificità, identità ed eccellenze spesso aggredite”. Non sono esattamente i termini e i toni più in voga a Bruxelles durante i Consigli europei.

La campagna elettorale è già iniziata. Con l’incognita del Ppe, della nuova ipotetica alleanza con i Conservatori, dell’antagonismo tra Von der Leyen (vecchia guardia) e l’emergente Metsola. In serata Meloni è salita sul treno per Kiev, dove oggi l’attende Zelensky che ha appena salutato la visita di Joe Biden. In queste ore però non ha mai staccato la testa da palazzo Chigi. E dalla sua complicata alleanza che produce un costante sciame sismico. Dopo il bilaterale con Moraviecki, Meloni si è sentita con Giorgetti e la delegazione che a palazzo Chigi ieri pomeriggio ha ricevuto le associazioni di categoria più coinvolte nel pasticcio Superbonus. “Nessun passo indietro” è stato ribadito, “massimo sforzo per trovare soluzioni e non lasciare nessuno indietro”.

Le danno problemi i suoi Fratelli più intimi: lontano da soluzione l’affaire Delmastro-Donzelli, il primo indagato ma non rimosso dall’incarico cosa che invece ha scelto di fare la fedelissima Augusta Montaruli condannata in via definitiva per le spese pazze in Regione Piemonte. Le dà problemi Forza Italia, nonostante la fermezza di Tajani, perché Berlusconi è una variabile fuori controllo per via del suo rapporto con Putin. Motivo per cui mezzo Ppe guarda con sospetto il Cavaliere. Le dà problemi anche Salvini che ha deciso di occuparsi in prima persona delle nomine delle grandi aziende di Stato tutte in scadenza tra marzo e aprile.

“Di fronte alle sfide più delicate – ha alzato la voce il leader della Lega – serve un cambio di passo anche nelle grandi aziende di Stato come Eni ed Enel”. Ora, se Claudio Descalzi è un intoccabile (il Piano Mattei è nelle sue mani), Francesco Starace, ceo di Enel, lo è un po’ meno. Anche per Giorgia Meloni. Che tornerà in serata. E dovrà occuparsi di dare stabilità alla sua vivace maggioranza.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.