La prova della Casa Bianca può dirsi superata per Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio è arrivata a Washington ricevuta da un’amministrazione che lo scorso autunno guardava con una certa diffidenza all’ascesa a Palazzo Chigi di una forza così ideologicamente distante. La piena adesione alla causa atlantica, il sostegno all’Ucraina e quanto espresso da Meloni durante i vari summit internazionali hanno però rassicurato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Al punto che lo stesso inquilino della Casa Bianca ha definito una “amica” la sua ospite italiana. Questa sinergia si è palesata anche nel lungo documento finale che ha ricapitolato quanto discusso tra la premier italiana e il presidente Usa, puntualizzando tutti gli scenari geopolitici in cui i due Paesi cooperano o dove puntano a una maggiore cooperazione.

La Nato rappresenta certamente il pilastro più importante e visibile anche nelle discussioni tra Biden e Meloni, in cui è stato ricordato il recente summit di Vilnius anche per ribadire quanto espresso in quell’incontro. Lo sguardo non poteva che essere rivolto alla Russia, che con la guerra in Ucraina ha prodotto un vero e proprio spartiacque nei rapporti transatlantici ma anche nei rapporti tra l’Europa e la stessa Mosca.

Con l’invasione di Vladimir Putin, l’Alleanza atlantica ha rafforzato la propria posizione all’interno dello scacchiere europeo, blindando un ruolo che negli ultimi anni sembrava essersi indebolito. Il sostegno all’Ucraina e l’ingresso della Finlandia (in attesa della Svezia) sono esempi più che evidenti di questo cambio di passo. D’altro canto, la volontà di spezzare i legami con la Russia, in particolare a livello energetico, ha rappresentato un terremoto geopolitico che ha travolto gli equilibri nel continente.

Questo ha colpito anche l’Italia, che, insieme alla Germania, era la potenza Nato più legata alle forniture russe. Il distacco da Mosca e il sostegno all’Ucraina da parte italiana hanno avuto certamente un peso rilevante nella percezione di Roma da parte di Biden. E questo si è aggiunto a un consolidato rapporto strategico che vede l’Italia come una delle forze più attive all’interno della Nato per quanto riguarda le missioni internazionali.

Non a caso, gli Usa hanno sottolineato nel testo anche l’apprezzamento per il contributo italiano nei Balcani occidentali, in particolare per ciò che concerne la missione in Kosovo. Se Russia e Ucraina hanno rappresentato due tra gli elementi principali del dialogo tra Biden e Meloni, il documento finale della Casa Bianca fornisce un quadro del rapporto complessivo che da Oltreoceano intendono instaurare con l’Italia in questa fase di enorme instabilità internazionale.

Sulla Cina, l’amministrazione democratica sembra aver voluto evitare un’entrata a gamba tesa, consapevole anche della maniera in cui media e alti funzionari cinesi hanno presentato la visita della premier italiana a Washington in attesa di chiarimenti sulla Nuova via della Seta. Palazzo Chigi e Casa Bianca hanno toccato il (fondamentale) tema dei rapporti con la Cina solo in modo sbrigativo, concentrandosi sull’impegno “per un Indo-Pacifico libero, aperto, prospero, inclusivo e sicuro” con una maggiore presenza italiana, sulla “importanza vitale del mantenimento della pace e della stabilità nello Stretto di Taiwan” e ribadendo che le due parti si impegnano a “rafforzare le consultazioni bilaterali e multilaterali sulle opportunità e le sfide poste dalla Repubblica Popolare Cinese”.

Dichiarazioni che, più che inviare un messaggio distensivo nei confronti di Pechino, appaiono come un modo per non attirare l’attenzione del Dragone su questa visita, escludendo strumentalizzazioni in caso di mancato rinnovo del memorandum tra Italia e Cina. Accordo su cui Roma dovrà presto dare una risposta. Per Meloni il vertice di Washington rappresentava poi il momento per provare a confermare il sostegno degli Stati Uniti nella complessa (e urgente) partita africana. Il documento finale tradisce in realtà una visione un po’ secondaria del dossier da parte degli Usa.

Il governo italiano può cantare vittoria per tre elementi. Il primo è costituito dall’interesse mostrato da Biden per la Tunisia, che è inevitabilmente il problema più urgente e immediato dell’agenda africana dell’esecutivo Meloni. Il secondo è la scelta – non scontata – da parte della Casa Bianca di prendere ufficialmente nota del piano Mattei per l’Africa, promosso in tutti i palcoscenici internazionali da parte dell’Italia. Il terzo è la decisione dell’amministrazione Usa di porre l’accento sulla Conferenza internazionale sullo sviluppo e le migrazioni svoltasi a Roma.

Questi aspetti sono sicuramente punti a favore, ma, allo stesso tempo, per l’Italia sono arrivati anche segnali meno positivi. Innanzitutto, gli Usa hanno insistito su una Tunisia “democratica”: scelta che conferma che Biden, per lo sblocco dei prestiti del Fondo monetario internazionale, punti a riforme che Kais Saied non sembra intenzionato a portare avanti. Elemento questo che in parte contrasta con la linea meno “ideologica” voluta da Roma e Bruxelles. Inoltre, è interessante la mancata citazione del Niger, in balia di un golpe ancora dai contorni poco definiti, del Sahel e della Libia, che sono invece questioni cruciali per la sicurezza italiana e del Mediterraneo allargato. L’impressione è che fatichi ad arrivare un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti e della Nato in alcuni teatri specifici fortemente attenzionati da Roma.

Lorenzo Vita

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