Il dibattito sulla pubblica amministrazione
Meno diseguaglianze e servizi efficienti, ma va riformata la città metropolitana

Per quanto incomplete o improprie, tutte le classifiche sulla qualità della vita nelle città italiane vedono Napoli nelle estreme posizioni di coda. Per un territorio che ha avuto ruolo primario a scala internazionale – ancora oggi carico di risorse umane di grande rilievo in tanti settori – è paradossale non cogliere le occasioni offerte dalla nuova dimensione che da sette anni consente una legge senza dubbio pasticciata, ma che apre a inedite opportunità. Anziché ricalcare la logica dell’ex Provincia, la “città metropolitana di Napoli” va rapidamente trasformata in “Napoli Città Metropolitana”.
Unità, non appartenenza. L’inversione dei termini è significativa: l’unità elimina l’atavica distinzione fra città e provincia. Da poco sia a Milano che a Napoli, reti di associazioni civili si sono rivolte ai sindaci perché non tardino ancora nell’attribuire alle Municipalità dei loro Comuni capoluogo l’autonomia amministrativa prevista dalla legge del 2014, condizione necessaria perché si possa procedere all’elezione del sindaco metropolitano da tutti i cittadini, non solo da quel terzo che abita nei capoluoghi. La sola terza città interessata a questa procedura è Roma, dove però due terzi dei cittadini abitano nel capoluogo.
Le norme elettorali da seguire devono essere emanate dal Governo e al Senato giace da tempo il relativo disegno di legge: non c’è urgenza, nessuno dei tre Comuni ha finora provveduto a riarticolarsi. Si tratta di un’arretratezza quasi unica in Europa, una distorsione della democrazia che concentra poteri nel capoluogo esautorando quasi completamente la maggioranza dei cittadini metropolitani dalle scelte per il futuro della sua città, con gravi conseguenze su efficienza funzionale e qualità ambientale del sistema metropolitano di cui nessuno si fa carico. Oggi le Municipalità del Comune di Napoli hanno autonomia organizzativa e funzionale, non autonomia amministrativa. Non è la sola anomalia. Napoli è l’unico Comune costiero a non avere perfezionato quanto gli consentirebbe la gestione delle aree demaniali lungo la costa (con ovvia esclusione del porto).
Ancora, in tutto il territorio metropolitano è paurosamente particolare la non coincidenza fra i distretti scolastici, sanitari e così via. Le “zone omogenee” interne all’attuale Comune capoluogo e nell’intero territorio metropolitano non sono quindi “enti di prossimità” opportunamente dimensionati e organizzati per l’effettiva gestione dei servizi e per favorire i processi di partecipazione dei cittadini. Più di altri il territorio di Napoli Città Metropolitana – 1.171 chilometri quadrati, quantità inferiore a quella del solo Comune di Roma – è caratterizzato da diseguaglianze sociali, economiche e culturali. Il che riflette una diversa dotazione di servizi primari (trasporti, condizioni strade ed edifici, spazi pubblici e così via) e la disomogenea distribuzione sul territorio di attività (fabbriche, reti commerciali, attività di servizio), la diversa articolazione del sistema formativo (asili, scuole, università, formazione professionale, biblioteche), la differente presenza e diffusione delle attività di ricerca e innovazione, di reti sanitarie, patrimonio museale, artistico, culturale e archeologico.
Tutto ciò riflette diversi livelli di benessere economico, sociale e culturale nel territorio e la troppo diversa diffusione di funzioni che potrebbero rendere l’insieme “città metropolitana”: economia, finanza, ricerca, cultura, servizi evoluti alla collettività e alla persona. Politiche e programmi tesi a mitigare o nel tempo annullare queste diseguaglianze sono compiti del Consiglio metropolitano che non può ancora essere eletto da tutti a causa di incomprensibili (ma comprensibili) ritardi. Oggi la “città metropolitana” non esiste, non è un soggetto unitario capace di gestire il territorio, non ha massa critica opportuna a scala nazionale e internazionale.
Non dispone di strumenti urbanistici appropriati. Soprattutto non dispone di un Piano energetico ambientale che superi gli attuali anacronistici frazionamenti. Magari che si allinei a quanto in Europa già a fine 2021 sarà realtà per nuclei abitativi e – per il 2022 – anche reale supporto di importanti attività industriali: idrogeno verde alimentato da energia solare senza utilizzare acqua purificata, risorsa preziosa, ma acqua di mare dove, tra l’altro, le coste si sviluppano per quasi 200 chilometri.
L’uso dell’idrogeno per il riscaldamento può far risparmiare miliardi di euro, avvicinare al traguardo “zero emissioni” evitando di lanciare in atmosfera immense quantità di tonnellate di anidride carbonica all’anno. In Italia – dando una scossa ad una realtà immobile – Napoli Città Metropolitana potrebbe risalire le classifiche, prima nello sviluppare una politica energetica ed ambientale su ampia scala.
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