«Non si può prescindere dall’Italia»: le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante la colazione di lavoro al Quirinale con la premier Giorgia Meloni e i suoi ministri, hanno dato il via a una giornata all’insegna dell’orgoglio tricolore. E la firma di Mattarella in calce alla legge sull’autonomia differenziata, promulgata in serata senza sollevare alcuna eccezione di costituzionalità, contribuisce a rafforzare – nel momento delle trattative febbrili in Europa – la tenuta della maggioranza e il credito di cui gode il governo.

Certo, sui “top jobs” europei il Presidente non entra troppo nel merito (“Non rientrano nei suoi compiti le dinamiche politiche che fanno da sfondo alle trattative in corso», recita una nota del Colle) ma la sua voce c’è, è inequivocabile e accompagna – con il suo calibro alto – le dichiarazioni ben più veementi della premier Meloni. Alla vigilia dei lavori del Consiglio Europeo che si apre oggi, la giornata della presidente del consiglio è stata tutta divisa tra Quirinale, Montecitorio e Palazzo Madama. Con tono crescente: al Presidente ha assicurato il punto fermo sul ruolo del nostro Paese nelle istituzioni di Bruxelles, poi nel confronto con le due Camere ha alzato il volume di un’ottava.

Sempre più definito il pacchetto di nomine ai vertici Ue, con la riconferma di Ursula von der Leyen alla Commissione, Costa al Consiglio e Kallas alla direzione della politica estera. I nomi già sul piatto da tempo, dunque, senza sorprese. La stessa maggioranza Popolari-Liberali-Socialisti che guida l’Europa da cinque anni. Ma con una base elettorale ridotta, striminzita. Anche a causa della débacle di Renew Europe che ha perso posizioni importanti. In queste ore gli sherpa dei 27 stanno trattando per concludere il puzzle delle nomine e Meloni, in Parlamento come al Quirinale, lamenta il mancato riconoscimento del responso elettorale e quella “sorta di ‘conventio ad excludendum’ in salsa europea” che il Governo italiano “non intende condividere”, dice Meloni.

Ecr è cresciuto, nei fatti. E’ diventato il terzo gruppo dell’Europarlamento proprio grazie alla spinta di Meloni. Che infatti alza la posta, quando Ursula von der Leyen le chiede il voto. «Una maggioranza fragile impone scelte, non ci stiamo», dice. Lo strappo preoccupa gli alleati. E se sarà difficile raggiungere una minoranza di blocco, rimangono aperti i giochi, alla plenaria, con la carta dei franchi tiratori. Meloni – come Viktor Orban e Robert Fico – non sembra intenzionata a dare l’ok alle nomine. «Non è mai accaduto che si partisse da incarichi che dovrebbero essere neutrali e che questi venissero utilizzati in una logica di maggioranza e opposizione, signifi ca creare un precedente molto discutibile per l’idea che abbiamo di Europa». Più in generale, sul futuro, Meloni promette: «Io non faccio inciuci con la sinistra, non in Italia, non in Europa».

Le riferiscono che i gruppi europei, ricevendo all’orecchio indicazioni italiane, tendono a escluderla. E si infervora: «Penso che sia francamente grave che rappresentanti del popolo italiano in queste ore, in questi giorni dicano ai propri omologhi europei: non bisogna trattare con la Meloni. Perché la Meloni, fino a prova contraria, è il presidente del Consiglio dei ministri italiano scelto dal popolo italiano e chi dice che non bisogna parlare con la Meloni sta chiedendo di escludere la nazione che rappresenta». Camera e Senato approvano la sua relazione, le timbrano il visto sul Passaporto per tornare in Europa in forza di un mandato pieno. Pierferdinando Casini in Senato le offre un gancio con una mano e un suggerimento con l’altra: «Noi non vogliamo Meloni a testa in giù ma a testa alta. Vogliamo che l’Italia pesi nel prossimo vertice. La premier tratti a nome dell’Italia senza confondere gli interessi che rappresenta come presidente del Consiglio con gli interessi dei sovranisti».

Le opposizioni la pungolano. Giuseppe Conte l’attacca: «Meloni incoerente o Meloni ininfluente. Mi permetto un consiglio: l’abbiamo vista cambiare idea un po’ su tutto, nessuno si stupirebbe di una nuova clamorosa incoerenza, e allora conviene andare in Europa con forza e determinazione, vada a prendersi un posto di prestigio che spetta di diritto all’Italia», incalza Conte. Sul doppio ruolo di Meloni, leader dei conservatori europei e premier italiana, si sofferma Riccardo Magi: «Abbiamo ascoltato il comizio della leader del partito dei conservatori, molto conservatori e poco riformisti europei», dice il segretario di Più Europa. E Schlein: «Mentre lei fa accordi con l’Albania, noi in Italia continuiamo ad essere l’Albania dei vostri amici in Europa, come Viktor Orban. Dico a Meloni che il problema non sono le sue personali simpatie o amicizie: il punto è con chi costruire alleanze strategiche per l’Italia». Matteo Renzi, intervenendo al Senato, ha parlato di “una storia a metà fra la grande statista e la piccola fi ammiferaia” per sintetizzare l’intervento della premier: «La grande statista che ha la forza per poter cambiare il mondo e la piccola fi ammiferaia che si lamenta perché non la chiamano ai caminetti. Se vuole sapere chi non l’ha chiamata ai caminetti, guardi il ministro Tajani: è Tusk che ha detto ‘non voglio parlare con Meloni’, ed è iscritto al Ppe». La parola passa adesso all’Europarlamento, e ai suoi franchi tiratori

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.