Il Mezzogiorno può svoltare
Meno piagnistei e reddito di cittadinanza, il Sud rinasca con una visone e trasformi la ‘fatica’ in ‘lavoro’
La nuova legge sull’autonomia differenziata pone il Mezzogiorno davanti a una sfida. Per vincerla bisognerà uscire dall’assistenzialismo e far rinascere uno spirito imprenditoriale e visionario
I miei risparmi, il mio stipendio e ora la mia pensione mi vengono accreditati sul mio conto corrente. La sede legale della mia banca (eccellente e professionale) è a Milano. Ho una assicurazione sulla vita, la sede legale della compagnia è in provincia di Treviso. A casa ho un contratto per la luce elettrica e la sede legale del fornitore è a Roma. Ho un’auto privata e la polizza assicurativa fa capo ad una società con sede legale a Roma. Come a Roma si trova la compagnia attraverso la quale pago i pedaggi autostradali. Per i carburanti invece la sede legale è a Milano. Al Sud non abbiamo banche di dimensione accettabili e quindi non abbiamo Fondazioni bancarie di dimensioni rilevanti.
Ma alcuni dei più ricchi e prestigiosi finanziamenti per la ricerca scientifica nazionale, i progetti AGER, derivano appunto da finanziamenti delle fondazioni bancarie. Finché ho avuto la pazienza di controllare (con un farmaco antiacido a portata di mano), non c’erano Fondazioni bancarie a sud di Teramo. Chi coordina il pool delle Fondazioni bancarie è CARIPLO, la cassa di risparmio delle Province lombarde. Perché? Perché sono bravi, sono efficienti, sono capaci, sono trasparenti, sono colti, della cultura che consente di nominare comitati di valutazione delle proposte di ricerca in maniera limpida. Tutto quello che faccio, ogni euro che transita nelle mie tasche (tranne le tasse e le addizionali locali) aumenta il PIL delle Regioni a nord del Garigliano e fa dire a chi non vuol vedere che al Nord si lavora molto di più.
Non è così. Saremmo capaci al Sud di fare altrettanto? Sapremmo uscire dalle logiche assistenziali e competere con le logiche di mercato? Giusto per non mandarla a dire, quando scoppia Tangentopoli (a Milano per pochi spiccioli inizialmente) negli archivi di quattro politici campani (di centrosinistra) si trovano i dossier di centomila questuanti, centomila persone per ognuno dei quattro politici a cui hanno chiesto un favore, un aiuto, una presentazione. L’alternativa, che si fa tuttora, è lasciare un segno, una monetina, un biglietto, un monile di plastica sulle “capuzzelle” del cimitero delle Fontanelle, uno dei luoghi più magici ed affascinanti che la raffinatissima cultura del popolo napoletano abbia saputo confezionare. Un luogo dove il confine tra vita terrena e vita oltre l’esistenza terrena è effimero. Un luogo dove vivi e deceduti dialogano, trattano, mercanteggiano, si fanno promesse. Ma poi se le “capuzzelle” (sono dei teschi di cui si ignora quale sia il defunto) non agiscono presto, non fanno trovare un lavoro ad un figlio, non fanno maritare una figlia o non curano da una malattia, si andava dai vari De Lorenzo, Scotti, Di Donato o Alfredo Vito. Gli esponenti della DC del tempo venivano ammantati della definizione di “la corrente del Golfo”, assieme ai Gava e Cirino Pomicino.
Ebbene, un luogo come il Cimitero delle Fontanelle che non si troverebbe in nessun altro luogo al mondo è stato quasi sempre chiuso nell’ultimo mezzo secolo. E quando non è stato chiuso, l’ingresso era gratuito. Gratis: un luogo del genere? Ma siamo impazziti? Diciamocelo, di chi era la responsabilità di tanta eccessiva vicinanza tra politica e votanti, tra esponenti nazionali dei partiti di governo e pubblico di chi non trovava una forma di lavoro per sé o per i propri cari? Davvero pensiamo che sia stata solo colpa della politica, oppure ci vogliamo finalmente dire che era anche colpa di un malcostume che accomuna quasi tutta Italia, ma che raggiunge punte di inefficienza e parassitismo eccessive nelle regioni meridionali? Vogliamo dirci che al Sud esiste il lavoro (pubblico, ben retribuito e senza controlli) e la “fatica”, fatta da privati che taglieggiano e spesso retribuiscono in nero eccellenti professionisti che non hanno la forza di abbandonare tutto e fuggire al Nord.
La nuova legge sull’autonomia differenziata è la nuova sfida che possiamo accogliere come l’ennesima marginalizzazione o come una grande opportunità. Saprà il Sud uscire dal piagnisteo e dall’assistenzialismo? Sarà capace di far rinascere uno spirito imprenditoriale e visionario? Riuscirà a immaginare un futuro che lo ponga al centro del Mediterraneo, al confine tra mondi e culture di tre continenti, scevro da razzismi e illusori sensi di superiorità, per diventare luogo di sviluppo e scambio del terzo millennio? Al sud la forza lavoro (rimasta) costa molto meno che al Nord Italia, ha un’infinità di giovani maltrattati e marginalizzati, cresciuti col senso di umiltà di chi sa di crescere in un luogo splendido, ma che offre poche opportunità di lavoro dignitoso e di elevata qualificazione.
Ha grandi centri di ricerca scientifica e tecnologica di livello planetario, vanta una tradizione inaudita sulle frontiere dell’innovazione (il primo computer, la prima ferrovia, la prima stazione zoologica, il primo osservatorio vulcanologico al mondo, il primo sistema di rifornimento dell’acqua in ogni caseggiato). Ha risorse umane, archeologiche e culturali da far invidia a mezzo mondo, ma si impelaga ancora a riciclare rifiuti industriali e ospedalieri, a elemosinare redditi di cittadinanza o a intasare gli organismi pubblici di parentopoli indecenti, dalle cattedre universitarie alle guardie forestali. Come mai la stessa legge sull’autonomia ha generato regioni straricche al Nord e senza strade o acquedotti al Sud? Sempre tutta colpa di Roma, o di Cavour, o di Garibaldi o della ricca finanza meneghino-sabauda? E se la smettessimo di fare il piagnisteo e tirassimo fuori le doti, se ancora ne abbiamo?
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