Il Comune e la demagogia del no tax
Mentre i sindaci si danno da fare, de Magistris aspetta i regali
“Altrove hanno trovato gli spazi necessari”. “Altrove hanno trovato come arginare l’emergenza”. “Altrove hanno trovato soluzioni”. Padre Antonio Loffredo, da 20 anni parroco del Rione Sanità, parla dei clochard napoletani rimasti ancora più soli dopo l’esplosione dell’emergenza sanitaria, quando il distanziamento sociale imposto per decreto a tutti gli altri si è sommato al loro, spesso scelto per protesta contro una società sprezzante. L’altro giorno, uno di questi clochard è stato trovato morto in via a Toledo, davanti alla Galleria Umberto. Servirebbero dunque strutture per i senzatetto. Servirebbero fondi per finanziare l’assistenza.
E servirebbero voci in bilancio per assistere i senza-servizi, vale a dire la gran parte dei napoletani, privi dell’essenziale, dei trasporti come di un decoro urbano degno di questo nome. Invece cosa fa il sindaco di Napoli? Il volontariato va bene. La carità cristiana anche. La generosità laica non ne parliamo. Ma de Magistris si occupa di altro. Gioca a fare il ribelle per meglio buttarla in demagogia. E come se il volontariato, la carità e la generorsa disponibilità dei privati potessero bastare, annuncia per tutto l’anno lo stop alle imposte su ogni forma di attività economica, commerciale e produttiva. Un “tutti a casa” fiscale che, lungi dall’essere un atto di responsabilità nei confronti di una città ripiombata nell’emergenza, è esattamente il suo contrario.
Cosa diversa sarebbe stata una strategia di questo tipo se il sindaco avesse provveduto per tempo a ripianare il buco rosso dei conti comunali e se non si fosse impegnato a indebitare la città fino al collo, accumulando deficit su deficit, senza mai rispondere agli altolà della Corte dei conti e finendo perfino nel mirino della Corte costituzionale. Ma l’irresponsabilità massima sta nel credere che ci sarà comunque qualcuno che ci penserà; che prima o poi passerà anche su Napoli un elicottero carico di moneta contante da far piovere in abbondanza. Se e quando questi soldi si troveranno, ed è certo che non saranno mai sufficienti a sanare tutte le ferite, dovranno però servire al Paese intero, al Sud come al Nord, ai napoletani come ai bergamaschi.
E se quei soldi si troveranno sarà solo perché altrove non hanno governato sindaci come de Magistris, ma amministratori consapevoli del loro ruolo. Amministratori che hanno rispettato il patto sociale, per cui se c’è chi paga le tasse c’è anche chi utilizza le risorse relative per fornire servizi, per restituirle in efficienza locale e in coesione nazionale, e per accumularne parte per i momenti più bui.
Cioè per momenti come questi. Se una cosa abbiamo però capito – se un insegnamento è possibile trarre dalla Storia – è che ci sono politici e politici. Che ce ne sono alcuni buoni per i periodi di penitenza e altri per quelli di consolazione. Churchill, di cui tanto si parla in questi giorni, fu grande in uno straordinario momento di penitenza.
Altri, invece, già piccoli in provvisori momenti di consolazione – quando c’erano da organizzare al massimo gli aperitivi a Chiaia, non certo l’evacuazione di Dunkerque – rischiano di rivelarsi ancora più piccoli ora, quando di fronte alla più insidiose delle emergenze dovrebbero mostrarsi più presenti che mai a se stessi. Succede invece che proprio de Magistris parli del suo proposito fiscale come di “un piano al limite della follia”. Se lo dice da solo, insomma.
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