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Il libero scambio con l’America Latina
Mercosur, bel colpo o mina vagante: contrari agricoli e verdi insieme. Cina e Stati Uniti in agguato
Sarà che la crisi dell’auto sta dominando la scena. Oppure che la firma di un trattato dopo venticinque anni di negoziati appare come una mera formalità. Fatto è che l’accordo di libero scambio Europa-Mercosur rischia di trasformarsi in una mina a scoppio ritardato, in grado di compromettere la già debole coesione dell’Unione europea. E c’è da chiedersi come si sia arrivati a questo, visto che, neanche un mese fa, eravamo pronti a intonare un De Profundis su una partnership commerciale avversata da un Paese fondatore come la Francia, quanto anche da una parte politica (i Verdi) e dell’economia (gli agricoltori), che ne evidenziavano le criticità. Ciascuno dalla sua prospettiva.
Può sembrare riduttivo dire che la firma raggiunta settimana scorsa sia stata possibile soltanto approfittando della distrazione dell’oppositore più tenace. A Emmanuel Macron infatti, concentrato tra la riapertura di Notre Dame e la crisi di governo, sembra che gliel’abbiano fatta proprio sotto il naso. D’altra parte, la soddisfazione mostrata da Ursula von der Leyen nelle foto scattate alla firma del trattato, a Montevideo, insieme ai leader di Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, suggerisce che la Presidente Ue abbia giocato d’astuzia e calcolato i tempi. Con opportunismo si è aggiudicata un risultato, che però avrà i suoi effetti positivi se saprà essere portato avanti con una chiara strategia. D’altra parte, l’accordo è esposto a tre problemi: due europei, uno internazionale. In casa, von der Leyen dovrà dimostrare che il suo non è stato uno sgarbo a Macron. Altrettanto dovrà rendere conto a Giorgia Meloni, che per cautela si è esposta fino a un certo punto sull’accordo. Politico.eu non l’ha impalmata mica per niente. Palazzo Chigi ha scelto una linea attendista. Questo vuol dire che qualche garanzia da Bruxelles dovrà pur arrivare.
C’è poi un discorso ideologico ed economico. Il trattato con il Mercosur è stato osteggiato dalla filiera agroalimentare e dal mondo ambientalista. Von der Leyen è riuscita a metterli insieme. Già questo ha del sensazionale. I primi si sentono esposti alla concorrenza sleale di prodotti latino-americani in ingresso in Europa. I verdi ricordano che gli standard ambientali delle nostre controparti sono ben più laschi rispetto a quelli prescritti dalla normativa Ue. È la stessa tesi che aveva portato avanti Parigi. Ha ragione il mondo green. Le regole europee sulla decarbonizzazione (Cbam) e contro la deforestazione (Eudr) sono molto stringenti. Per quanto in divenire. La loro applicazione richiede investimenti, tecnologie e anche sensibilità al tema, spesso difficili da riscontrare in altri mercati. Questo cosa vuol dire? Che i nostri fornitori del Sud America dovranno adeguarsi.
Ma a che costo? E da chi verranno pagati gli aggiustamenti dei listini? Fa contraltare l’industria manifatturiera, favorevole a imboccare canali preferenziali in mercati lontani, ricchi di materie prime e di consumatori cui destinare il nostro Made in Europe. La contorsione del problema è evidente nelle rispettive prese di posizione delle categorie produttive italiane: Confindustria ci sta. Confagricoltura e Coldiretti no. E Giorgia Meloni avrebbe tutte le ragioni per chiamare Bruxelles e dire: “Come la risolviamo questa?”. Forse però il problema maggiore sta in America Latina.
Il trattato con il Mercosur infatti è di libero scambio, ma non esclusivo. I nostri interessi andranno a confrontarsi con quelli di Cina e Stati Uniti. Allo stato delle cose, le bilance commerciali di Ue, Usa e Cina con il Sud America, nel 2023, sono state rispettivamente di 250, 566 e 500 miliardi di dollari. Salire di uno o due gradini del podio sarà impegnativo. Non tanto per le nostre capacità, bensì per la spregiudicatezza degli avversari. A margine del G20 di Rio, a novembre, Xi Jinping ha preso parte al forum dell’Apec (Asian Pacific Economic Cooperation), in corso quasi in contemporanea a Lima, in Perù. Successivamente ha incontrato Lula. Brasile e Cina, va ricordato, sono entrambi membri del Brics. Nel frattempo, il presidente argentino,
Javier Milei, ha detto che il suo governo cercherà di stabilire nel 2025 un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Un’azione preventiva ai dazi di Trump, questa. Quindi? Quindi sembra che il Sud America abbia tutte le intenzioni di farsi colonizzare una seconda volta. In questo caso con consapevolezza. Viene da chiedersi se l’Ue saprà essere abbastanza coesa e aggressiva per partecipare questa nuova ricerca dell’Eldorado.
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